La rappresentatività di The Wire

Li riconosci subito, sui social, i piagnoni. Di solito sono quelli che vanno dietro a qualsiasi verbo, ancorché sciocco, venga proferito dai loro media di riferimento: non hanno personalità, non hanno cultura storica, non hanno contezza della realtà; semplicemente, ripetono a pappagallo e pensano che quanto sostengono sia vero.

Una delle balle (perché di balle si tratta) che circola più volentieri, negli ultimi tempi, sostiene che non ci sia mai stata una vera rappresentatività verso le minoranze prima dell’attuale ondata di sensibilità da parte di Hollywood. Vero che alla fine a muovere i fili c’è ancora una ben determinata casta, ma pretendere di attribuire solo all’ultimo periodo storico l’attenzione agli “altri” è autentica ignoranza storica.

Senza scomodare l’immortale Indovina chi viene a cena? (Stanley Kramer, 1967), possiamo gentilmente scostare la tenda e accostarci a una perla, molto più vicina a noi, come The Wire (2002-2008). Una serie che, come ebbe a dire il produttore esecutivo Chris Albrecht, “è diventata la più famosa di sempre quando ormai non la trasmettevano più”.

Gli ascolti di The Wire in effetti sono sempre stati bassini, ma se ha sedotto migliaia di spettatori e stregato una quantità inusitata di critici, un motivo deve pur esserci. Anzi, in realtà ce ne sono diversi, e tra i primi sicuramente è presente un certo sguardo realistico sulla società statunitense dei primi anni Duemila, che abbraccia e coinvolge anche le minoranze.

Queste ultime la serie le ha trattate anzitutto attraverso la veridicità, con personaggi disegnati in modo realistico, e senza sconti. Volendo soffermarci in particolare sugli afroamericani, possiamo notare come la creatura di David Simon ne abbia portati in scena di diversi tipi, ad esempio poliziotti, burocrati, senzatetto, gangster e relativi tirapiedi.

Lo ha fatto, beninteso, senza un occhio moralista, ma cercando di cogliere una fotografia della realtà in cui spiccasse come, a tutti i vari livelli della scala sociale, c’è chi scelga di agire per il Bene e chi per il Male, ma che nel secondo caso ad un certo punto si presenti comunque un’opportunità di redenzione, che però il soggetto decide autonomamente se cogliere o meno. Un fattore davvero straordinario, e per certi versi anacronistico, alla luce del pietismo manieristico e opportunista tanto in voga oggi.