Come avrebbe dovuto essere Gotham: Anno Uno

Quando uno vuole affrontare le origini di un mito, anzi, le origini delle origini di un mito, quantomeno dovrebbe approcciarsi alla materia rispettosamente, e con granu salis. Evidentemente non conosce questa prassi Tom King, che ha preso la famiglia Wayne (quella di Gotham City, ça va sans dire) e l’ha trattata con la grazia di un elefante in una vetreria.

Lasciamo perdere gli ammiccamenti espliciti all’onnipresente ideologia woke. Lasciamo perdere il tono noir di chi, peraltro, pensa di aver scritto Fronte del porto (Kazan, 1954) non accorgendosi che il suo lavoro somiglia più a un film di Ridolini.

Qui manca anzitutto il rispetto verso il mondo di Batman, per la famiglia di Batman, insozzata da un’iconoclastia ingenua, al punto che tu, lettore, hai come la sensazione di avere di fronte King che ti guarda con aria soddisfatta e ti dice, mentre prosegue la sua opera, “Hai visto?! Sto dimostrando che anche i Wayne sono marci! Che i ricconi sono più sudici delle persone normali! Eh?! Eh?! Ma quanto sono bravo?!”. E l’unica risposta sensata sarebbe: “Ma levati di lì, incapace”.

Perché un fumetto che si chiama Gotham: Anno Uno avrebbe meritato qualcosa di ben più interessante. Ad esempio, per dirne una, un racconto su un’indagine della polizia di Gotham, elemento sempre presente nelle avventure di Batman eppure talmente marginale da essere bistrattata persino dai meme.

Sarebbe stato interessante, ad esempio, vedere lo sviluppo di un caso (magari non legato a qualche super-cattivo) e, al contempo, la vita di un commissariato, sullo stile dei romanzi dell’ispettore Adamsberg della scrittrice francese Fred Vargas. Invece niente, Tom King ha preso un titolo stuzzicante e se n’è servito per l’ennesima finto-moralistica retorica che prova unicamente gusto a rimestare nel torbido. Ma qualcuno gli ha detto che questo genere lo ha già sdoganato Beautiful?