I pionieri di Sergio Tavčar

Come dice l’amico Roberto Gotta, oggi che si ha tutto a disposizione si perde il piacere della sorpresa. Basta un clic ed ecco il trailer del film che attendi, i momenti salienti della partita che hai perso, il tour virtuale nel luogo che non hai visto.

Ecco, ogni tanto fa bene che qualcuno ricordi che non è sempre stato così, che anche solo fino al 2010 la connessione alla rete era lenta e i messaggini venivano centellinati perché costavano credito. E se quel qualcuno è una voce rilevante come Sergio Tavčar, tanto meglio.

Non fraintenda però il lettore. I pionieri-Le incredibili storie di una televisione di confine non è un libro all’insegna dell’esaltazione acritica del tempo che fu, come tanti all’amarcord malinconici, quando non rancorosi, che ogni tanto si trovano.

Anzi, in questo volume di poco meno di duecento pagine la sapiente voce della storica TeleCapodistria traccia con la consueta lucidità un quadro preciso di ciò che è stata la sua esperienza nell’emittente della minoranza italiana in Slovenia. E lo fa, per giunta, sviscerando tanto i pregi quanto i difetti di quell’epoca che sembra passata da un pezzo, ma che in realtà è appena l’altro ieri.

Onesto intellettualmente come di consueto, Sergio Tavčar non fa mistero di preferire la sensibilità del secolo passato. Allo stesso tempo, però, non eccede affatto in passatismi di varia natura, chiarendo in maniera esplicita che non tutto è stato sempre rose e fiori.

In questo senso, l’autore racconta gli eventi relativi alla nascita ed allo sviluppo di TeleCapodistria in maniera sobria, ma senza negarsi un tocco del suo tipico umorismo. Il risultato è un volume culturalmente interessante e narrativamente divertente, come se ad accompagnare il racconto fosse Charlie Chaplin in persona.

Una scelta per certi versi fisiologica, allo scopo di far metabolizzare meglio al lettore un viaggio breve nello spazio ma lontano, invece, nei costumi sociali. Al centro della scena finiscono così le difficoltà tecniche dell’era analogica, le peculiarità dei grandi appuntamenti sportivi, le logiche talvolta perverse del mercato televisivo, le politiche di un mondo diviso in due blocchi e tanto altro.

Su tutti questi aspetti prevale, tuttavia, soprattutto il fascino di un mestiere come quello del giornalista sportivo, specie nel suo ruolo di coscienza critica di chi lo sport lo dirige. E forse quest’ultimo è l’unico aspetto davvero rilevante che vale la pena rimpiangere di quel passato pur così prossimo.