Continua ad essere uno degli sport più seguiti al mondo, nonostante le recenti modifiche ai regolamenti abbiano allontanato molti appassionati. È sinonimo di azione, velocità, coraggio e pericolo di morte.
Eppure… eppure il grande cinema ha quasi sempre ignorato il mondo della Formula 1. Sì, va bene, Rush ce lo abbiamo in mente tutti, ma è il film di Ron Howard è l’eccezione che conferma la regola, visto che, escluso quello, sono pochissime le pellicole che raccontano la classe regina delle monoposto mondiali.
Si badi bene: non delle corse automobilistiche, che infatti sono state protagoniste diverse volte, ma proprio della Formula 1 in sé. Da una rapida ricerca, oltre al summenzionato Rush, i lungometraggi ad essa dedicati risultano Driven (Harlin, 2001), Gran Prix (Frankeimer, 1966), La Passione (John Hobbs, 1996), Un attimo, una vita (Sydney Pollack, 1977) per quanto riguarda la fiction, oltre naturalmente ad un nutrito gruppo di documentari.
Un numero veramente esiguo, dunque, ed è un peccato, perché la Formula 1 avrebbe tutto per poter essere protagonista sui grandi schermi delle sale cinematografiche, oltre che su quelli piccoli (ma sempre meno, dopo il passaggio sul criptato) delle mura domestiche. Prima di tutto, come si diceva, per la natura dello sport, fatta di persone folli che si lanciano a velocità ancora più folli, di rombi assordanti, di scontri plastici che rappresentano il filo sottile teso tra la vita e la morte, di incendi drammatici, e chi più ne ha più ne metta.
Certo, è giusto sottolineare come non siano più i tempi prima di Ascari e poi di Hunt, dove davvero salire su una monoposto significava non avere certezza di finire la gara. Tuttavia anche oggi la Formula 1 resta uno sport di adrenalina, certamente quella di chi guarda ma, soprattutto, quella di chi lo concretamente lo pratica.
Proprio per questo, ed è il secondo punto, il mondo della classe regina è ricco di storie che meriterebbero di essere approfondite e divulgate. A cominciare da quello che potrebbe un potenziale sequel di Rush, ovvero il campionato 1984, quando, dopo che per un biennio si era ritirato, Niki Lauda tornò in pista e a bordo di una McLaren vinse il suo terzo titolo mondiale, staccando Alain Prost di solo mezzo punto nel Gran Premio decisivo del Principato di Monaco.
Il francese fu a sua volta risarcito dalla sorte (e non solo…) quando nel 1988, in Giappone, la sua McLaren incocciò in quella del compagno Ayrton Senna, quest’ultimo riprese la gara, Prost fece ricorso e i giudici gli diedero ragione, consegnandogli il titolo che “sul campo” era invece andato al compagno. Vent’anni esatti dopo, la storia di Felipe Massa campione del mondo per soli otto secondi, prima che Lewis Hamilton si aggiudichi una competizione che, nel suo svolgimento, era stata condita dal Crashgate della Renault prima e della Spy Story McLaren-Ferrari poi.
Da raccontare poi non ci sarebbero solo i campionati, chiaramente, ma anche i loro protagonisti. Magic Senna, il Barone Rosso Schumacher, il Leone Mansell, Iceman Raikkonen, il Maestro Fangio sono solo alcuni dei personaggi che meriterebbero un biopic (vista la recente riscoperta del genere, poi), e questo tanto per la loro straordinarietà di sportivi quanto, soprattutto, le emozioni che hanno saputo regalare al grande pubblico. Ovvero ciò che, più ancora dell’argenteria in bacheca, ha reso tali campioni davvero immortali.