Zero Titoli: Roberta De Tomi

Storie di chi ha vinto lontano dai riflettori

Roberta De Tomi, quanti titoli hai vinto?

Al momento sono a quota cinque. Il primo, forse quello più importante, è stato il Pellicanolibri, nella sezione Narrativa, che mi è stato tributato dal poeta, editore e organizzatore di eventi Beppe Costa, che ringrazio per questo onore. È stato per me l’occasione per confrontarmi con diversi colleghi, sia della narrativa che della poesia.

Ma è stato prima di tutto un riconoscimento inatteso, e mi ha lasciato tanta emozione il fatto che sia stato tributato alla narrativa edita, per tutto il lavoro che ho fatto in questi anni (circa dodici) nel mondo della scrittura; lavoro che è stato molto sentito e molto forte.

Un altro concorso che mi ha coinvolto tanto e che è sfociato in un premio veramente notevole è l’Adriatico – Una mare che unisce. Mi è stato conferito l’anno scorso, sempre per la Narrativa, ed è stata l’occasione anche per parlare della scrittura creativa, in quanto mi hanno voluto incoraggiare su questo percorso, che ho iniziato nel 2020.

Sto, infatti, tenendo delle docenze che mi stanno permettendo di mettere a punto dei buoni metodi a livello di didattica, andando oltre la lezione frontale, come indicato dalla scuola attiva di John Dewey. Attraverso l’esercizio, infatti, si tira fuori la creatività degli allievi.

L’altro titolo molto importante e che per me ha rappresentato un traguardo prezioso, è il Premio Cittadella, secondo ex-aequo, nel 2019, per Alice nel labirito. Viene conferito per il Migliore Romanzo Fantasy, ed è stato importante perché ha rappresentato la vera nascita dell’autrice Roberta: mi ha portato a lavorare moltissimo su Carroll, e su una materia narrativa molto complessa, perché c’è molta sperimentazione.

Ad alcuni lettori è piaciuto molto proprio per la continuità posta con l’autore. Non mi aspettavo questo riconoscimento, forse proprio per la particolarità del romanzo.

Gli altri due titoli importanti, arrivati a sorpresa, sono stati Casa Sanremo Writers 2024. Per il primo sono risultata finalista per le serie televisive, grazie a un progetto frutto di un’ispirazione del momento: io abito in provincia, una provincia che è stata dilaniata dal terremoto nel 2012, e queste ferite che ancora portiamo nel territorio sono confluite in questa idea in cui, alla componente locale molto forte – che è poi una caratteristica del giallo italiano – ho unito un personaggio molto empatico.

La protagonista è una ragazza molto amata dai suoi compaesani, ma che con l’empatia si trova poi invischiata in un giallo, diventando la principale sospettata di un delitto. Questo soggetto, che ho scritto in un giorno, è stato molto apprezzato dalla giuria presieduta da Maurizio Di Giovanni, che mi ha così tributato questo onore: anche se non è stata una vittoria “totale”, per me ha rappresentato comunque un traguardo molto importante.

L’altro titolo, sempre a Casa Sanremo Writer, riguarda il Premio Speciale nell’ambito del concorso dell’Icatt di Eboli, attribuito al racconto L’ultimo falafel che ho scritto dopo la mia esperienza in Palestina. È una storia di riconciliazione tra i popoli, scaturita dalla riflessione successiva a quanto ho potuto toccare con mano su un territorio lacerato da odi atavici. È stata un’esperienza veramente potente.

Roberta de Tomi, professione…?

Scrittrice. Perché mi occupo effettivamente di servizi editoriali legati alla scrittura. Se da una parte c’è la componente narrativa, dall’altra, invece, ci sono quelle attività come correzione di bozze, copywriting, ghostwriting che occupano la mia quotidianità. E, ovviamente le docenze di scrittura creativa.

Domanda provocatoria: perché scegliere di fare la scrittrice se, come insegnava un vecchio ministro dell’economia, con la cultura non si mangia?

Beh, la cultura può essere il nostro pane, perché l’Italia è un paese che nasce dalla cultura. Io credo che sia proprio una questione di capacità e di mettersi in gioco. La scrittura narrativa in sé e per il mercato che abbiamo in Italia, non ti permette di vivere, è vero, però può diventare uno strumento importante a livello professionale. O può essere adattata ad altri settori: penso ad esempio al copywriting che è alla base della pubblicità e del marketing.

Venendo alla scrittura creativa: non è unicamente finalizzata a sfornare degli scrittori, ma può anche essere legata al settore del benessere, in quanto la scrittura è anche espressività e “fa bene”. Ci sono tanti aspetti che ti permettono poi di sviluppare l’ambito culturale, e se in Italia fossimo un pochino più bravi da questo punto di vista si potrebbero creare delle vere e proprie opportunità di lavoro.

Credo sia una questione di mentalità sbagliata, basata su alcune dinamiche che bisognerebbe iniziare a cambiare. Perché la cultura ci potrebbe dare il pane, se solo volessimo e riconoscessimo le figure professionali che orbitano intorno a questo ambito, nelle molteplici funzioni e ruoli possibili, strutturati su competenze che non si improvvisano, ma si plasmano.

Ci raccontano che sia un’epoca veloce in cui nessuno legge più. Ma quanto è moderno in realtà il libro?

Il libro è molto moderno. Dicono addirittura che i giovani non leggano, ma non è vero: ci sono diversi ragazzi che sui social, ad esempio su TikTok con il fenomeno del booktok, amano i libri e lo dimostrano.

Il libro è una parentesi che possiamo concederci in quest’epoca convulsa; il fatto di poter evadere attraverso una bella storia, immergerci in un mondo diverso, è molto positivo; ed è anche un momento perfetto per staccare la spina e connetterci a noi stessi.

Chiaramente anche i libri si stanno adeguando a questa rapidità, con trame più veloci e formati più ridotti. Ma la lettura resta un aspetto centrale, un momento slow di cui dovremmo, in realtà, avere sempre più bisogno.

Quale dei personaggi che hai scritto sei, e quale invece non sei?

Che bella domanda! Nella prima categoria direi Alice: sono Alice, mi sento Alice, anche se Alice in realtà potremmo esserlo un po’ tutti, perché siamo persone che si interrogano su quanto ci accade, e, con la curiosità cercano di andare oltre certe apparenze.

Mi sento molto Alice anche per quelle insicurezze che a volte ci possono far deviare dai nostri percorsi, mettendoci in crisi. Il che è molto umano. E Alice è un po’ la signora delle crisi che poi supera…

Quello che non sono è sicuramente Kilt, de L’angelo caduto di Feerilandia,perché è estremamente ambigua. Ha un bisogno pressante d’amore e di essere compresa, e tiene certi comportamenti proprio perché cerca questo amore e, non avendolo, diventa ancora più aggressiva. È anche un personaggio che incarna una certa diversità messa al bando, e che per questo cerca di attivarsi per essere riconosciuta socialmente (in quel contesto magico particolare); ma lo fa nel modo sbagliato.

Mi sento lontana da questo personaggio perché ha dei modi che non mi appartengono. La sua ambiguità, prima di tutto: io sono decisamente trasparente. E poi ho sempre le unghie corte!

Hai scritto “Abuso d’amore”. Ma se è un abuso come può essere amore?

Infatti è un ossimoro creato appositamente per fornire degli spunti di riflessione sul tema dell’abuso narcisistico, che spesso viene confuso con l’amore per tutta una serie di meccanismi che sono poi anche alla base di queste relazioni.

È una maschera per ciò che amore non è, perché l’amore è condivisione, accettazione, comprensione della persona: non conosce l’abuso, insomma. Il titolo è provocatorio in sé, un segnale in una società in cui l’amore è un po’ mercificato, ricondotto a qualcosa di opportunistico.

La mia idea è invece quella di riflettere su ciò che è veramente l’amore, togliendo le sovrastrutture per riportare al concetto stesso di questo sentimento, che consiste nell’andare incontro all’altro, mentre l’altro viene incontro a noi, in un rapporto di parità. Almeno, io la vedo così.

Perché Alice proprio nel labirinto? Perché non in un grattacielo, o in una qualche zona industriale o in un prato?

Perché il labirinto, che non è un luogo reale ma metafisico, è un po’ il simbolo del perdersi per poi ritrovarsi. Alice finisce in questo labirinto, e attraverso una serie di prove, cerca di ritrovare sé stessa. Il resto lascio a voi…

Hai scritto anche “Gen Z: Il canto della Resistenza”. Quanto è importante la Resistenza, oggi? E quale Resistenza è importante?

È importante la Resistenza che portiamo avanti nella vita di ogni giorno, affrontando difficoltà e anche quelle ingiustizie che ci possono travolgere. Riuscire a resistere significa riuscire a essere sé stessi, a mettere in campo tutta una serie di difese che ci permettono di andare avanti, oltrepassando certi muri, certi pregiudizi che possiamo incontrare quotidianamente, ma che non devono piegarci.

L’Angelo caduto di Feerilandia. Dov’è la Feerilandia?

È il mondo delle fate. Ha a che fare con la via feerica, ma è anche un mondo di valori perduto, che dovremmo riuscire a recuperare. Fa parte di quei mondi paralleli al nostro, che ci permette di aprire gli occhi, di capire che non ci siamo solo noi, e che dunque la nostra vita sarebbe diversa, meno inquadrata, se imparassimo ad uscire dalle nostre prospettive sclerotizzate.

Feerilandia è un altro mondo creativo, perché la magia è creatività, e ci permette di rovesciare quello che noi siamo sempre stati abituati a vedere. Per questo può disorientare: leggere fuori dagli schemi aiuta o forse no… provare per credere!

Trappola d’ardesia”. Perché d’ardesia?

Perché c’è una certa indefinitezza in questo materiale; non è esattamente così resistente come sembra: c’è un riferimento, quindi, alla fragilità della protagonista. Il tema cardine del romanzo è quello della violenza colta nella sua totalità, ma essendo protagonista una donna, quella di genere assume una posizione di rilievo.

Tuttavia, voglio sottolineare il fatto che non esistono violenze peggiori, ma solo forme diverse di violenza. L’obiettivo è dimostrare che la violenza ha mille volti. Soprattutto quella psicologica, che si insinua dentro di noi in modo viscido, spesso apportando dei veri e propri danni misurati spesso sul tempo. E su cicatrici invisibili perché dentro di noi.

Alyssa l’ultima sirenetta”. Volevi fare concorrenza ad una certa major?

(ride) No, assolutamente no. È nato come il retelling (seguito) di una fiaba, quella di Andersen, che io ho sempre amato. E anche lì, c’è una volontà di riscatto rispetto all’amore, in riferimento all’opera originale che sappiamo come va a finire…

Quindi no, nessuna concorrenza, anzi, c’è un omaggio al film del 1989. Infatti, ho inserito diversi momenti di canto e di danza, in quanto le sirene rappresentano anche l’arte della musica. Un romanzo, artistico, oserei dire, oltre che un urban fantasy d’amore e d’avventura.

Hai parlato di scrittura creativa. Ne esiste anche una non creativa?

Sì, esiste la scrittura tecnica. La scrittura creativa fa riferimento a quanto è di pertinenza al mondo dell’espressione artistica, come poesia o narrativa. Accanto si sviluppa la scrittura tecnica, come la saggistica o il giornalismo, ovvero tutto ciò che è più incanalato verso un’espressione differente.

Per meglio precisare, due esempi. Un articolo di giornale nasce per informare e, quindi, riporta dei fatti (nessuna elaborazione creativa): un racconto è il frutto della fantasia dell’autore, anche quando è realistico.