Zero Titoli: Marco Morghen

Storie di chi ha vinto lontano dai riflettori

Quanti titoli hai vinto?

Ne ho vinti due, direi. Cioè, ne ho vinti di importanti, ma quelli più importanti devo ancora raggiungerli, quindi voglio restare umile. Il primo è la mia prima laurea, che mi ha cambiato tanto. E poi sicuramente il fatto di aver avuto la possibilità di conoscere nuove culture e nuove persone quando ho vissuto all’estero, e questa esperienza mi ha dato una forma mentis veramente incredibile, al punto da essere il motivo che mi ha spinto a tornare in Italia per studiare.

Come premi in sé, invece… forse a basket qualche medaglietta l’ho presa! Se posso trovare un titolo a livello radiofonico, è quello di aver avuto l’opportunità di andare in FM.

“Live social”. Conta più essere live o più essere social?

Sono dell’idea che contino, purtroppo o per fortuna, entrambe le cose. Mi rendo infatti conto che viviamo in un contesto sociale in cui i social la fanno da padrone, perché qualsiasi cosa che vogliamo percepire nell’immediato basta andare sui social e lo trovi.

Allo stesso tempo però, credo che abbiano tolto qualcosa in termini di rapporti, secondo me. Evidentemente non ti parla un cinquantenne che può fare un raffronto con gli anni Ottanta e Novanta, però è una cosa che ho potuto notare anche in chi come noi è cresciuto nell’era dei social, che portano ad ostentare o a voler arrivare prima degli altri a fare qualcosa.

I social hanno un grandissimo potere, perché riescono a far emergere persone che hanno anche tanto valore, però purtroppo non mi ci ritrovo molto a mio agio. Quindi, se devo scegliere tra i due, preferirei essere un po’ più live, vorrei essere quello che ancora si ritrova in spiaggia con la chitarra davanti al fuoco, con gli amici.

Let’s saturday” è la tua febbre del sabato pomeriggio?

Sì. Va in onda dalle 15 alle 17, e devi essere in grado di portare dei contenuti che le persone poi abbiano voglia di ascoltare. Richiede una grande preparazione nei giorni precedenti, e quindi sì, mi fa accendere, ed è stata pensata per il sabato, ovvero un giorno in cui ti lasci alle spalle la settimana lavorativa, e per accompagnare le persone da dopo il pranzo fino all’aperitivo.

Oltre ad essere una trasmissione generalista, quindi, è anche all’interno di un orario figo, che lega la giornata. Un aspetto che mi piace molto.

Inside out”. Quanto è importante l’emozione nel fare radio? E come incide?

L’emozione nel fare radio è fondamentale. Ritengo che la radio sia ancora oggi il mezzo più ricco che abbiamo, perché in pochi secondi tu le persone devi catturarle, devi essere in grado di far sì che rimangano collegate, e devi trasmettere a chi ti ascolta delle emozioni.

Mi metto nei panni di una persona che è in macchina, in autostrada o magari per lavoro. In radio ascolta una canzone, poi c’è la pubblicità o la canzone non gli piace, cambia stazione, e magari al terzo giro ti trova. Lo speaker non sa quando verrà ascoltato, ma in quei secondi che ha deve essere in grado di coinvolgere la persona.

Apro una parentesi: nelle radio di flusso, di solito, quello dello speaker è un ruolo marginale. Tu parli un minuto e mezzo, due, poi lanci il disco, che è quello che la gente vuole sentire. Proprio per questo bisogna saper parlare di cose interessanti, per attirare l’attenzione della persona che ti ascolta.

E non è ovviamente un compito facile. Devi essere in grado di parlare bene, devi scandire bene le parole proprio a livello tecnico, perché se no poi ti perdi o non fai bene quello che dovresti fare.

Sicuramente Inside out è stato un progetto molto particolare, che poi si è evoluto anche in video. E lì forse era ancora più bello, perché univamo il cinema e la radio alla psicologia, perché insieme a psicologi e psicoterapeuti analizzavamo alcuni film per capire il rapporto tra psicologia e cinema.

Questa cosa può offrire un input in più, ovviamente all’ascoltatore che sia interessato a queste tematiche.

Tornando alla domanda, pensa alle radiocronache sportive. La difficoltà è che il tuo utente non vede le immagini, quindi devi essere ancora più bravo a trasmettere l’emozione, quindi l’aspetto emozionale è sicuramente fondamentale.

La voce, da questo punto di vista, è un elemento fondamentale, non ha eguali, e certe cose si apprendono con l’esperienza, con il ritmo, con le persone che lavorano con te, anche perché c’è differenza anche tra fare trasmissioni in coppia e trasmissioni in singolo.

Hai recitato in “I pazzi dicono sempre la verità”. Anche in radio?

Questa è una bella domanda. Partendo dal presupposto che la parte emozionale ha sempre una sua parte di verità, e che è difficile riuscire a trasmettere delle false emozioni, credo che la radio sia un grande mezzo di verità.

Poi chiaro, magari non tutto quello che si sente è vero, non tutto quello che viene raccontato è vero, ma secondo me nella maggior parte dei casi sì.

Hai recitato ne “La Sirenetta” facendo il cuoco. Con quali ingredienti prepari il tuo programma radio?

Sicuramente con tanta passione e tanta cura, ma questa credo sia la base di qualsiasi progetto editoriale, ed anche di progetto di vita. E poi, soprattutto, andando a trovare delle tematiche che possano incuriosire il pubblico, che possano essere anche uno spunto di riflessione.

Non ha senso raccontare uno notizia tanto per, soprattutto nel caso di quelle un po’ futili che troviamo spesso su molti siti o sui già menzionati social. Piuttosto, bisogna cercare qualcosa che sappia coinvolgere ed emozionare, senza che sia per forza una tematica triste o noiosa, ma anche una di curiosità, che porti l’ascoltatore ad aver voglia di documentarsi.

All’inizio di ogni puntata io dico sempre che cerco di regalare due ore di spensieratezza, in un giorno, il sabato, che è quello dello svago e quindi, ripeto, figo. Credo che si sia un po’ persa questa cosa.

Hai fatto altre trasposizioni delle fiabe Disney. Ti senti un po’ di vivere una fiaba, con la tua attività in radio?

Sicuramente sì. È una grande passione che ho, ed è quello che vorrei che un giorno mi desse proprio da vivere, il mio lavoro. Il fatto di poterlo fare, e di aver fatto anche tanti sacrifici per arrivarci, e quando lo ottieni, questo titolo, anche se non è un titolo vero e proprio, ti senti un po’ felice, in una sorta di fiaba, sostanzialmente.

Ovviamente, come tutte le fiabe, si spera che possa avere un lieto fine. Ma questo, come cantava Battisti, lo scopriremo solo vivendo.

Hai recitato in “Sogno e son desto”. Più sogni o più sei desto?

In realtà io più sogno, da sempre. Perché credo che avere un sogno, un obiettivo, sia quello che ti porta a svegliarti la mattina e a dire “Ok, andiamo avanti, crediamoci fino in fondo”.

E fino a quando una persona ha la possibilità di realizzare il proprio sogno non vedo perché non debba provare a realizzarlo, anche perché abbiamo solo una vita. Poi però dall’altra parte bisogna saper rimanere con i piedi per terra a capire se il sogno è percorribile o realizzabile.

Alla domanda “Posando nuda per il calendario non aveva proprio nulla?” Marilyn Monroe rispose “Sì, la radio accesa”. Ti capita mai di sentirti nudo in radio?

Sì, quando ti trovi spiazzato da qualcosa. Magari vai in diretta per seguire la scaletta o il canovaccio e poi succede qualcosa, tipo una notizia da stampa generalista, che ti costringe a cambiare.

Oppure succede con le interviste: sei convinto di dover intervistare cinque persone su un determinato argomento, ti sei preparato l’intervista, poi scopri che quelle persone non ci sono e devi parlare di tutt’altro.

Questa cosa un po’ ti toglie sicurezze, e devi essere in grado di cambiare tono, visione, registro, contesto, ed il programma stesso. Purtroppo questa cosa capita, ma lì viene fuori la bravura del conduttore, che deve essere in grado di tenere la barra a dritta.

È qualcosa che impari con l’esperienza. A me è capitato solo una volta, per fortuna. È il bello della diretta.

Aldo Biscardi ha detto “È una notizia importante, per radio la possono vedere tutti”. Per radio riusciamo a vedere davvero?

Torniamo a quello che dicevo della radiocronaca. Se tu hai una persona che si mette un paio di cuffie e riesce a trasmettere qualcosa, l’ascoltatore riesce a “vedere in questo senso”.

Anche perché è nato tutto prima in radio, per cui assolutamente, la radio è un grandissimo modello, da questo punto di vista.

Owain Yeoman, interpretando il personaggio di Wayne Rigsby in The Mentalist ha detto “Cinquecento anni fa la radio era considerata una magia”. Ma non è così anche adesso?

Assolutamente. Siamo sempre lì: prima hai parlato di fiaba, ora di magia. Ma sono concetti che nonostante gli anni passino, continuano a ritornare.

La radio non morirà mai. È il mezzo per eccellenza, un mezzo unico che non potrà mai passare di moda, pur con tutte le sfumature che possono essere, come le web radio o i podcast.

Con la radio ci siamo dentro tutti, alla fine. Case discografiche, artisti che lanciano gli album, interviste per promuovere un tour…

Herbert George Wells disse: “Confido infatti che tutte quelle brave persone che oggi si divertono ad ascoltarla, riusciranno a trovare quanto prima un passatempo più intelligente”. La radio esiste ancora, quindi possiamo concludere che non siamo diventati più intelligenti?

No, non siamo sicuramente più intelligenti, ma questo non vuol dire che la radio non lo sia. Anzi, lo reputo un mezzo super-intelligente e super-efficace per arrivare alle persone.