Storie di chi ha vinto lontano dei riflettori
Guido De Gaetano, quanti titoli hai vinto?
Come musiche nessuno, però molti dei progetti che ho musicato hanno vinto dei premi come progetto. Un esempio è il Paradiso Ritrovato ha vinto il festival della Biodiversità di Roma, ma ne posso citare tantissimi
Forse l’unico che non ha vinto niente è stato Il Giovane Pertini, uno degli ultimi film che ho fatto. Dobbiamo però dire che la mia carriera è stata sul cinema ultimamente, mentre all’inizio diciamo mi sono tenuto più sul documentario e sullo spot pubblicitario.
Sul mio sito sono consultabili tutti i premi che sono stati vinti dai progetti che ho musicato, sia in Italia che all’estero quindi sinceramente mi ritengo molto soddisfatto. Anche perché, lo dico francamente, io la penso come Bartok, che diceva che i concorsi sono per i cavalli e non per i musicisti.
Ci credo molto poco ai premi, e dopo aver visto che molta roba inascoltabile è stata invece premiata sono quasi più contento di non averne vinti.
La danza del vino. Per scrivere musica bisogna essere leggeri con il cuore, come quando si beve?
Quello fa parte di un disco che è stato pubblicato negli anni Novanta come album fisico, e poi ripubblicato da me, nel 2014 mi sembra, come album digitale che si chiama Mala Danza. Era stato commissionato da un comune della Romagna per le sue feste medievali.
Ero sobrissimo quando ho scritto quella musica. Uno che diciamo storicamente si sa che componeva da ubriaco era Igor Stravinsky, ed io non riesco a capacitarmi come facesse comporre dalla roba così bella da ubriaco
Il discorso discorso è che quando componi musica devi essere molto concentrato: io credo che ci sia una trasmissione, che l’artista sia un po’ come un medium. cioè che riceva dei messaggi, delle onde che arrivano da altri luoghi, da altre dimensioni, e le converte in musica. Almeno questa è la mia esperienza.
Io quando scrivo entro in uno stato che non è proprio di consapevolezza estrema. Per cui da questo punto di vista ti rispondo di sì, però non bevo mai quando scrivo.
Invece, come ho raccontato, Stravinsky lo faceva, e forse lo dovrei fare anch’io. Chissà, a quest’ora sarei Stravinsky. Forse.
Hai scritto Il ballo dei giullari e La corsa dei pazzi. Ti senti più matto o più giullare?
Più pazzo, assolutamente. Pazzo per aver scelto di fare un lavoro che solo un pazzo potrebbe coscientemente decidere di fare, perlomeno in Italia.
Il mondo è molto diverso sulla musica rispetto all’Italia, che dal mio punto di vista è ancora per tante ragioni molto indietro. E questo è anche una grande colpa delle case discografiche, che all’estero infatti pubblicano qualsiasi cosa pur che sia bella, mentre in Italia hanno dei muri, soprattutto sull’età e sulla rappresentanza di spettacolo dell’artista.
E così in Inghilterra c’è gente che a sessant’anni esce con dei dischi, vendendone per giunta anche parecchi. Una cosa che in Italia è impensabile.
Peraltro, devi tenere conto che quei pezzi erano stati scritti per questa festa di paese per fare anche delle danze infatti il CD si chiama Mala Danza perché incrocia i Malatesta con la danza.
Backstreet of Paris. Cosa c’era nei vicoli di Parigi da meritare di essere raccontato in musica?
Quello penso che scrissi per la Sony Music tra il 1998 e il 1999 per un gruppo inglese che si chiama Mothership. Lo sottoposi al nulla osta del regista Stefano Salvati, con cui stavo collaborando in quel momento, che fu in parte l’artefice di questo disco.
Scrisse infatti anche lui alcune canzoni, e si diede da fare affinché la Sony promuovesse e pubblicasse questo album.
In realtà Parigi io l’ho vista molto più tardi, nel mio viaggio di nozze nel 2009. Devo però dire che Backstreet of Paris è un bellissimo titolo, perché in effetti i quartieri di Parigi ispirano quell’amore che è il soggetto ultimo di quella canzone.
Per Il vecchio testamento o Padre Pio sei dovuto entrare in una dimensione sacra? Ci sei entrato da profano?
Ho musicato diverse produzioni a cartoni a tema sacro, ad esempio la serie di San Francesco che è stata pubblicata come Frate Foco. Per un certo periodo ho collaborato con a Paolo Zavallone che era il musicista ufficiale dell’Antoniano, e allora l’Antoniano si rivolse al mondo televisivo.
Ne venne fuori questa grossissima produzione internazionale, perché avevano intenzione di fare tutta una serie di cartoni sulla religione cattolica. Li ho realizzati insieme al maestro Zavallone: un po’ di temi suoi, un po’ di temi miei, gli arrangiamenti miei, le orchestrazioni mie.
Padre Pio è stato qualcosa di mistico, l’ho sentito veramente tantissimo. Infatti che mi è piaciuto molto il film, tant’è sul mio sito è presente il link per vederlo Youtube in alta definizione.
Io la storia del Santo di Pietrelcina la conoscevo poco, l’ho imparata tramite quel film. Ed è stato bellissimo, anche perché abbiamo usato dei cori veri quindi ho dovuto scrivere anche delle parti vocali e realizzarle.
In quel contesto, la difficoltà principale dal punto di vista musicale, è che invece che usare le solite quattro parti per il coro, quindi due femminili e due maschili, ho dovuto usare un coro solamente maschile. Quattro parti maschili diventa difficile scriverle, perché rischi di andare una sopra l’altra, proprio per via dell’estensione.
Il Vecchio Testamento invece è stato uno dei lavori più complicati della mia vita: quarantanove puntate, ognuna lunga mezz’ora e tutte musicali dall’inizio alla fine. Per le prime quattro ci ho messo quattordici giorni a puntata, perché era importante trovare i temi giusti, visto che l’argomento è molto epico e spirituale.
Dopo ho iniziato ad andare avanti più velocemente: mi ricordo che lavoravo dalla mattina alle 8 alla sera alle 11, e riuscivo a fare una puntata in una settimana. Difficile, ma bellissimo lavoro, perché anche in quel caso mi sono fatto una conoscenza della Bibbia che prima non avevo.
La parte interessante è che il video che mi hanno dato era tutto in inglese, lingua che capisco abbastanza, però chiaramente quando hai gli attori che recitano diventa più arduo. E allora andavo a leggere tutte le sceneggiature in italiano. Fortunatamente avevo il video per cui sono riuscito a prendere tutti i tempi giusti
In Passi leggeri come hai scelto una musica che potesse accompagnare lo spettatore nel mondo di questo centro di assistenza psicologia e legale per donne?
Quello è stato un lavoro che ho fatto con l’Ethnos sotto la regia di Elisa Mereghetti. Abbiamo cercato di unire un contesto di dolcezza e di tranquillità, che l’obiettivo per cui questo centro è nato, ovvero per dare appunto tranquillità alle donne.
Si lega però anche ad un discorso anche etnico, perché erano previste diverse interviste a donne albanesi. Abbiamo quindi fatto ricorso a musica che richiamasse quella tipica dei Balcani.
Lo scopo era aiutare lo spettatore il telespettatore a capire il contesto, e ad inserirsi nell’ambiente in cui si svolgeva la scena.
Le acque di Chenini, Paradiso ritrovato, Il mare di Joe: è facile o difficile raccontare la natura con la musica?
È difficile perché esiste un linguaggio musicale decodificato e riconoscibile per qualsiasi cosa che passi sullo schermo, anche per immagini di natura. Questo linguaggio sarà diverso se si tratta di un bosco, come in Paradiso ritrovato, o del mare, come Il mare di Joe.
Quello che rende difficile restituire l’idea della natura con la musica è l’orchestrazione. Devi fare delle orchestrazioni molto descrittive, che si rifanno al poema sinfonico ottocentesco-novecentesco, come la Moldava di Smetana per intenderci.
Ho citato un caso estremo, ma è un classico esempio di natura rivoltata in musica, tutto questo sempre per coinvolgere lo spettatore il più possibile. Chi pensa di fare la musica da film con la convinzione di poter scrivere la musica che gli pare commette un grandissimo errore.
Hai scritto diverse musiche per spot pubblicitari. Con quali criteri si riesce a scegliere una musica per qualcosa che dura così poco?
Nell’ambito pubblicitario le dinamiche sono molto diverse, perché c’è una collaborazione con il direttore creativo che ti dà delle indicazioni precise.
Chiaramente in trenta secondi è difficile riuscire a esprimere qualcosa di completo perché è un tempo molto limitato. Però anche nella pubblicità ci sono dei codici di linguaggio che il musicista deve rispettare.
Normalmente io dico che lo spot si divide in tre parti: problema, reazione e soluzione. Problema: non ho il prodotto, reazione: compro il prodotto, soluzione: ho trovato la soluzione dopo aver comprato il prodotto.
Queste tre fasi, soprattutto l’apparizione del prodotto, vanno sottolineate, e bisogna farlo nel modo giusto. Considera che comunque, quando faccio la musica per gli spot, alle agenzie ne consegno di solito cinque o sei, di musiche.
Poi da lì si stringe il cerchio finché non arriviamo a quella che poi deve essere approvata dall’agenzia, dal direttore creativo e dal cliente. Quindi la difficoltà è riuscire a mettere tutte queste teste d’accordo su quale musica vada effettivamente bene.
Il giovane Pertini. Combattente per la libertà. Per musiche su una produzione storica cosa bisogna conoscere del periodo in cui è ambientata?
Devi fondamentalmente conoscere lo stile musicale che c’era nell’epoca trattata, e di conseguenza rifarti a quello. Il giovane Pertini è tutta musica ottocentesca/novecentesca, e che serve, anche in questo caso, ad immergere lo spettatore nella fase storica.
Il compositore è come un attore che deve interpretare l’immagine e dare l’emozione, perché in realtà il video di emozione ne da poche, mentre è l’audio quello che ti emoziona. Per Pertini in particolare era importante sottolineare la declinazione eroica del personaggio, e l’aspetto altrettanto importante della Resistenza che Pertini ha rappresentato.
Anche in quel caso la difficoltà è stata fondamentalmente trovare il tema giusto, che desse quest’idea di eroismo e di istituzionalità, visto che ovviamente tutti sanno che successivamente è stato anche Presidente della Repubblica.
La battaglia di Adwa. Anche alla luce della tua esperienza come reenactor, hai estrapolato il ritmo insito nel contesto militare?
Quello è un lavoro che ho fatto per l’Università di Bologna, che ha fatto una conferenza con un documentario sulla battaglia di Adwa. Ovvero forse la più grossa disfatta italiana che abbia mai avuto luogo.
Fu veramente un massacro, con di poveretti mandati a morire lì per motivi politici, che non avevano niente a che vedere con con la difesa della patria. Quella gente in realtà era lì per fare una guerra di conquista.
La cosa interessante della battaglia di Adwa è stato che quel pezzo io l’ho composto di getto suonando la testiera al computer, dopo mi sono trovato a doverlo orchestrare per farlo eseguire da un’orchestra vera, un’operazione che non è stata facilissima devo dire.
Per venire alla domanda, in realtà quello non è un ritmo tanto militare, quanto piuttosto un di paura che cresce. Ho cercato di mettermi nei panni di uno dei soldati che erano lì.
Ci sono quindi situazioni spaventose, legate anche a un aumento dell’orchestrazione e della strumentazione, durante tutto lo svolgimento del brano. Il quale va a imitare la crescita del nemico che arriva, cioè la quantità di nemici che arrivano a combattere contro i nostri soldati.
Il tema principale è militare perché è fatto con un corno, poi viene ripreso da una tromba, però diciamo che l’intenzione era quella di dare l’idea dell’essere sommersi dal nemico
Lullaby under the sky, The starry sky, Supernova. La musica può portare a toccare il cielo e le stelle?
Assolutamente sì. Quello fa parte di un di un lavoro che ho scritto, e che ho chiamato Minimalist Vacuum.
Doveva essere eseguito originariamente dall’Orchestra Senza Spine di Bologna, con la collaborazione di Giuseppe Donnici, purtroppo oggi prematuramente scomparso, che era la prima viola dell’orchestra.
Era un brano per quintetto, quindi due violini, viola, violoncello, contrabbasso e pianoforte. L’idea era quella di eseguirlo insieme alla proiezione di planetari.
Infatti in totale sono dodici brani, della durata di un’ora e un quarto circa. Tra questi ogni pezzo ha il nome di un di un evento celeste, compresi quindi Lullaby Under The Sky, The Starry Sky e Supernova.
Hai arrangiato un concerto di Bach che poi ha fatto parte della colonna sonora di Thor: Ragnarok. Come si combina l’eleganza di Bach con la potenza di Thor?
Il pezzo è il “Concerto per due violini in Re minore” ed era molto triste, ma allo stesso tempo di una bellezza stravolgente. È stato usato in un passaggio abbastanza drammatico, ovvero nel momento in cui Thor e gli altri supereroi preparano l’attacco a Ragnarok, sapendo che andranno ad affrontare una cosa che è inaffrontabile.
In quel contesto era appropriato appunto per l’eleganza di un compositore come Bach.