Zero titoli: Arianna Favalli

Storie di chi ha vinto lontano dai riflettori

Arianna Favalli, quanti titoli hai vinto?

Nessuno. Ho vinto un master, se proprio vogliamo parlare di qualcosa di vinto, ma premi zero.

Chés. La partita del fiume Chiese. Volevi raccontare un territorio o volevi raccontare il fiume?

Chés è un gioco di parole, perché Chés in bresciano vuol dire “Chiese”, che è il nome del fiume, ma in inglese vuol dire “scacchi”. Infatti teoricamente il nome sarebbe Scacchi-La partita del fiume Chiese.

È un documentario che ho prodotto durante quel master, che come ho detto ho vinto, alla Cineteca di Bologna: come compito finale ci chiesero di raccontare o un posto o una persona a noi cari, e quindi, visto che io sono di origine bresciana e che ho passato tutta la mia infanzia vicino a questo fiume, grazie a mia madre, ho voluto raccontarne la storia.

All’inizio io volevo raccontare il fiume, volevo raccontare il posto perché io di questo fiume avevo un bellissimo ricordo perché comunque ci ho passato tantissimo della mia infanzia: mia mamma ci portava me, mia sorella e vari i nostri amici noi, e abbiamo fatto tantissime avventure, in stile Tom Sawyer.

Fu per questo motivo che scelsi questo luogo, che non visitavo poi da tantissimi anni perché comunque per l’università sono venuta a Bologna. All’inizio volevo raccontare il luogo, questo fiume, ma quando arrivai invece mi accorsi che il fiume era completamente diverso da come me lo ricordavo.

Era completamente abbandonato,sporco, inquinato, lasciato a se stesso. Lì la storia cominciò a cambiare: non volevo più raccontare il fiume come zona naturale, ma volevo raccontare che cosa stava succedendo al territorio.

Ho cominciato a conoscere dei volontari, degli attivisti e quindi il focus si è spostato su una narrazione attiva di quello che stava succedendo oggi nella zona bresciana, relativamente alla costruzione di un mega-depuratore del Garda. Il quale come sostiene un professore dell’Università di Parma che ho intervistato, andrebbe ad alterare la natura del fiume Chiese, anche se la sua costruzione viene venduta come una miglioria.

Per riassumere, il documentario è nato come il racconto del fiume, e poi è invece diventato più che altro una narrazione del territorio e, soprattutto, delle persone che tutti i giorni ci vivono e che lottano. E che affrontano il fatto che il posto dove vivono potrebbe essere drasticamente maltrattato, per non dire distrutto.

Re-education to life. Cosa senti di avere in comune con i delfini?

Sicuramente posso dire che quello che mi può avvicinare a un delfino è l’amore per la libertà, il desiderio e la volontà di essere libera. Una caratteristica meravigliosa dei delfini, infatti, ovviamente non quelli in cattività ma quelli presenti nel Mediterraneo e più in generale in tutti gli oceani, è il loro grandissimo amore per la libertà, per lo spostarsi, il viaggiare, il socializzare.

Sardinia Beach Finals, Bologna FC Week. Nel racconto dello sport emerge di più l’aspetto narrativo o quello plastico?

Allora, questa è una bella domanda perché ogni video ha un obiettivo suo, e queste due situazioni sportive avevano due obiettivi completamente differenti. Avevano però in comune anche che entrambi erano pensati per YouTube, per un formato in 16:9.

Le due narrazioni erano però completamente differenti: il primo era pensato esclusivamente per l’ambito pubblicitario e social, quindi video brevi, e dinamici. Il lavoro per il Bologna Calcio era invece un diary week,inteso come racconto settimanale di quello che stava facendo la squadra rossoblù, ed era quindi strutturato come se fosse un diario o un telegiornale, con interviste a più persone.

In sintesi per rispondere alla domanda, dipende. Se quello per il beach era più plastico, quindi più immagine, dinamico, emozioni, esplosivo, con veloce montaggio su musica, l’altro invece era più narrazione, più discorsivo.

Festivaletteratura. Oggi come si fa a raccontare la cultura, specie letteratura e poesia, in modo efficace attraverso il video?

Sicuramente devi essere interessato a quello che fai. Perché se per esempio ci sono video da girare di cui proprio non ti può interessare nulla perché non è proprio la tua materia, la cultura sicuramente è una di quelle cose che ci devi essere dentro per capirla e per applicarla.

Festivaletteratura secondo me ha la grandissima dote di avere delle idee meravigliose per raccontare la cultura. A questa manifestazione ho intervistato poeti, giornalisti, attivisti, scrittori come Jonathan Safran Foer, autore di Ogni cosa è illuminata, o Zerocalcare.

Sicuramente il miglior modo per noi per raccontare la cultura tramite un video è rendere il prodotto estremamente interessante, soprattutto riuscendo a tirare fuori le parti migliori dalla persona che si intervista oppure dal relativo ambito, e sicuramente questo non deriva solamente dal fatto di quello che la persona dice ma anche da come viene detta.

In questo senso, l’evento più bello a cui ho partecipato ma è stata l’intervista a due scienziati che hanno messo dentro i laghi di Mantova, per due-tre mesi, delle sonde che prendevano il moto ondoso, l’acidità, la temperatura. Erano delle boe sparse dentro questo lago tramite questi dati inseriti in un computer in cui erano state inserite un migliaio circa di poesie.

Avevano abbinato i dati che avevano raccolto nel lago a vari parole o concetti, la macchina utilizzando i dati del lago scriveva poesie, random. Alla fine la promozione di questa cosa era il fatto che i laghi di Mantova scrivessero poesie.

Considerando il moto ondoso, il vento e così via la macchina aveva abbinato le parole e questo evento con questi due. Ricordo che all’evento c’erano i relatori su una barchetta a tre-quattro metri in acqua e poi c’era il pubblico seduto a riva. Io non sono appassionata di poesie, ma ecco, questo è stato l’evento che mi è piaciuto di più in tutto il Festivaletteratura e per me è stato un piacere montare il video e le interviste.

Ritengo che la cultura sia riuscire ad avvicinare persone come me alla poesia. E renderlo un ricordo bello, indelebile.

Rewilding Europe. Ogni tanto anche tu hai bisogno di un “rewilding”?

Assolutamente, io sempre, ogni domenica ho bisogno di un rewild. Ho un grandissimo amore per la natura: posso dire che non ci andrei tanto quanto vorrei, ma almeno due fine settimana al mese vado a camminare, che ci sia pioggia, vento, neve, freddo, grandine.

Ho tutto l’occorrente per andare a fare trekking. L’applicazione che utilizzo per programmare il trekking quest’estate è arrivata a centodieci escursioni, nell’arco di tre anni. In tutte le mie ferie o comunque in generale nel tempo libero, io vado in natura.

Per esempio quest’estate ho fatto tre settimane di free camping in Finlandia dove ho girato nove parchi naturali tra kayak, free camping, quindi con la tenda, a piedi, hiking. Quindi sì, posso dire che il rewilding per me stessa, il rimettermi in natura, per me è indispensabile, se no non riuscirei ad affrontare ogni singola settimana

Di per sé, invece, Rewilding Europe è un video nato in collaborazione con “Salviamo l’orso marsicano”. Un’attività ormai diventata sfortunatamente famosa per la questione degli orsi tipo Amarena e i suoi cuccioli nelle zone abruzzesi.

Nella stesura di video aziendali fai totalmente spazio ai desiderata del cliente oppure la produzione è un equilibrio tra la tua visione e la necessità dell’azienda?

Per quanto riguarda i video aziendali, usciamo dal campo del piacere, che abbiamo affrontato finora ed entriamo in quello del dovere. E il dovere significa che è una cosa che devi fare perché io ci vivo sopra, è il mio lavoro e quindi lo devo fare.

In questo caso è un ibrido. L’acquirente ha sempre la prima parola: quando mi contatta prima di tutto voglio sapere tutto quello che vuole, in che modo lo vuole, se ha qualche idea e così, e poi si va a mediare.

Il cliente ha sempre ragione, però se ha delle proposte fuori budget o estremamente difficili, lì poi va ad intervenire il mio personale punto di vista da professionista. Però difficilmente io vado a mettere il mio gusto personale dentro.

Se mi dice “Guarda io il video lo voglio in questo modo perché a me piace così”, lì alzi le mani al cielo e dici: “Va bene, io da professionista te lo sconsiglio per questi motivi”. Oppure gli dico “A me sinceramente così non mi fa impazzire, però se tu lo vuoi così a me va bene”.

Foto e video di matrimoni. Alle cerimonie ti capita di entrare in empatia con il “sentiment” del momento?

Allora, dipende molto da chi è. In tutta sincerità tendenzialmente non faccio molti matrimoni perché non è esattamente l’ambito del mio principale interesse.

Però per esempio adesso ho un matrimonio segnato che anzi sono anche abbastanza esaltata, devo farlo a metà ottobre e per esempio gli sposi mi sono estremamente simpatici, sono super tranquilli,e sicuramente avere un’empatia con la persona che stai filmando sicuramente è importante.

Quindi sì, ti posso dire che molto spesso all’interno magari di una cerimonia è molto più facile sviluppare un sentimento quando si trova di fronte a dei sentimenti veri, piuttosto che magari con certi matrimoni che sono estremamente impostati, non dico standard perché non è che per forza sia qualcosa di standard, ma con quelle cose magari viste e riviste è più difficile. Però sì, posso dirti che a seconda di chi mi trovo davanti certe volte anche io un po’ mi commuovo.

Tamburi di Brisighella. Qual è il fascino di queste incursioni della storia nel presente?

I tamburi sono estremamente affascinanti Io “I tamburi di Brisighella” li conosco da tanti anni e anzi con loro ho delle collaborazioni attive.

Posso anzi dire anche di essere loro amica. Adesso ad esempio ho appena finito anche il video del loro quarantennale, che non è ancora stato pubblicato perché in questi giorni hanno avuto a che fare con la questione gli allagamenti nelle zone della Romagna.

Sicuramente il fascino è tanto perché è estremamente potente sentire suonare i tamburi. Loro peraltro sono molto bravi, e per questo molto ricercati in tutta Italia e per me è sempre un grandissimo piacere andarli a filmare, a fotografare e a vedere.

Non sono una grande esperta di musica in verità, ma se dovessi calarmi nella parte di uno storico della musica riterrei il tamburo il primo strumento musicale mai inventato. Ha questa capacità di rievocare quei sentimenti ancestrali che smuovono il sangue.

Il tamburo ricorda infatti il battere del cuore. È un suono estremamente facile da produrre ma anche estremamente complesso da comporre, e quindi ogni volta che sento un dei bei tamburi suonare vengono in mente tutta una serie di ricordi, o comunque di sentimenti, che sicuramente hanno attraversato tantissime epoche storiche.

Ti occupi anche di ritratti fotografici. Il ritratto è più questione di ambiente o di intuizione personale?

Oltre al fatto che di ritratto ci sono varie tipologie, bisogna sottolineare che fotografare una persona sia difficile, ed estremamente personale. In un singolo scatto devi riuscire a tirare fuori l’anima del soggetto, e non è immediato.

Mi viene in mente la storia del ritratto di Winston Churchill ad inizio Seconda Guerra Mondiale, che per esempio per me è uno dei ritratti più belli al mondo. Non ricordo il nome del fotografo, però sostanzialmente gli inglesi dovevano produrre un ritratto che rappresentasse il Regno Unito in guerra All’epoca Churchill era Primo Ministro: avevano dieci minuti per fare questo scatto, ma non sapevano cosa fare.

Churchill aveva sempre il sigaro, e quindi il fotografo senza dirgli niente si avvicinò e glielo strappò di bocca. E Churchill ci rimase talmente male che fece la famosa espressione con cui poi fu immortalato, e quello diventò il simbolo del Regno Unito in guerra.

Quindi è più una questione di ambiente o personale? Dipende dal contesto, dipende dal punto di vista del fotografo, specie se si trova di fronte a una persona per cui prova un sentimento, qualsiasi sentimento sia.

Quindi magari o si fanno sprigionare dei sentimenti al soggetto, oppure se deve essere invece una cosa ambientata dipende molto dal tipo di situazione. Tornando a Chés-La partita delle fiume Chiese, io per quel lavoro feci anche un reportage fotografico, tra cui anche un ritratto a mia madre. Mi sembra che sia il terzo o il quarto scatto che le ho fatto: è un ritratto ambientato, ovvero quando posizioni un soggetto all’interno di un ambiente che lo rappresenta.

Lei è molto legata a quel corso d’acqua, e la fotografai nel fiume estremamente inquinato, dove però si vede non il fiume ma un albero, sradicato dalla potenza del fiume, che ha tutti i rami pieni di plastica. Quello secondo me è forse uno dei miei ritratti migliori in ambito fotografico, perché lì ho posizionato un personaggio, mia madre, all’interno di una storia.

Quindi per creare un attimo le somme: dipende, dipende da quello che si vuole raccontare e da chi si sta raccontando.

Fotografa al concerto di Ennio Morricone. Come si riesce a tradurre la musica in immagine?

È particolarmente complicato, se non proprio impossibile. La musica viene definita l’arte più pura perché è quella che non ha nessuna rappresentazione fisica

Ma proprio per questo è anche l’arte più difficile. Se tu mi dicessi “Fotografami la musica” io dovrei per forza fotografare sempre qualcuno che la sta interpretando. Lì secondo me tutto dipende dalla bravura di chi scatta.

Considerando che la musica viene prodotta da delle persone, se parliamo di un concerto, bisogna piuttosto riuscire a catturare l’anima di quello che sta succedendo. Così da non prendere se non la musica quantomeno l’emozione che quella musica in quel momento sta provocando a chi ascolta e a chi suona.

Operatrice video. La telecamera è neutrale?

Se parliamo di operatore video sì, perché l’operatore video, a differenza di tutto quello che mi hai chiesto precedentemente, nell’ambito produzione video è la mansione più neutra. La differenza principale tra un operatore video e il videomaker è quest’ultimo ha i suoi clienti, la sua attrezzatura, che si occupa lui della produzione.

Ciò significa che del cliente conosce nome, azienda, settore lavorativo, attività, motivazioni, storia, sede, dipendenti, scopo e quant’altro. L’operatore video invece viene chiamato due-tre giorni prima, e gli viene indicato ora e luogo, e scoprirà quel giorno che cosa dovrà inquadrare. Finito il lavoro, smonta e va a casa. Quindi sì, fare la videocamera all’interno di un concetto di service video è estremamente neutrale.