Rivedere Thérèse, del 1986, è come guardare in uno specchio che riflette il passato. E il verbo “riflettere” va qui inteso con la sua doppia valenza.
Non è infatti un mistero che cinematografia internazionale che ha riguardato l’ordinazione femminile di recente abbia rappresentato le suore in maniera decisamente negativa. E in più modi.
C’è quello ridanciano di Sister Act, che mira a canzonare (è proprio il caso di dirlo). C’è quello di Magdalene, che punta su una presunta denuncia delle violenze nei conventi.
C’è quello di Benedetta e Immaculate, che invece vogliono mettere in luce una altrettanto presunta morbosità della scelta di essere suora. E c’è quello horror di The Nun, che si spiega da sé.
Tutti questi esempi di retorica cinematografica hanno, come accennato, una doppia funzione. Da una parte si vuole delegittimare la figura della suora, mentre gli autori vogliono legittimare sé medesimi come coloro che svelano la verità dietro l’ipocrisia della Chiesa.
È proprio per tale motivo che Thérèse è per certi corroborante. Non c’è velleità di autocelebrazione, ma solo il racconto dell’ordinazione femminile quale pura vocazione.
La protagonista, Santa Teresa di Lisieux, brilla di una luce propria. È limpida, spontanea, e sinceramente immersa nella chiamata che ha ricevuto.
Proprio per questo la rappresentazione della sua vita in convento sembra fuori dal tempo. Sottratti gli elementi perversi tipici della narrazione moderna, lo spettatore può infatti rendersi conto che le suore sono esattamente come tutte le altre, ovvero donne che hanno fatto una scelta di vita.
Come ogni contesto collettivo la vita è regolata da ritmi cadenzati. E come in ogni contesto umano sono affinità e contrasti, mitigati dalla chiamata alla vita comunitaria.
Ma ciò che brilla di Teresa è soprattutto la fede. Una fede semplice, che sgorga come l’acqua di fonte.
Umile nel suo agire, la protagonista, ma allo stesso ambiziosa nel desiderio di essere santa. Un desiderio che non fa a pugni con l’umiltà, perché la santità è, in effetti, la massima disponibilità a mettere la propria vita a servizio del Divino.
In questo senso, Thérèse è un lungometraggio la cui visione rinfranca l’anima. Lo spettatore, infatti, dall’ardore della protagonista si sente coinvolto emotivamente, toccato dentro nel profondo.
E pazienza se la cinematografia attuale si sforza in ogni modo di minare la reputazione della vocazione femminile. Perché finché ci sono figure come Santa Teresa di Lisieux, la limpidezza della fede resta la testimonianza più concreta in mezzo al brusio.