Vox populi, vox Dei. E non c’è voce più popolare di quella dei social, dove la maggioranza concorda nel dire “Il miglior Batman è quello della trilogia di Nolan”.
Senza polemica, ma con sincera curiosità, una domanda a quel punto verrebbe da porre: caro amico/cara amica, un fumetto di Batman ti è capitato davvero di aprirlo? Perché altrimenti non ci si spiega come mai tanta predilezione per una produzione che dell’originale Crociato di Gotham riprende davvero pochissimo.
Oh, intendiamoci, i film di Christopher Nolan sono tutti e tre un grande spettacolo, una produzione ricca di spunti sull’introspezione sull’animo umano, tema che il regista britannico è solito indagare nelle proprie opere. Il problema, anche alla luce del successivo The Batman di Matt Reeves, è che il protagonista, molto semplicemente, non è Batman.
Poteva assumere qualsiasi altro nome o anche solo rimanere Bruce Wayne, perché l’intenzione di Nolan era chiaramente quella di utilizzare l’Uomo Pipistrello come testa d’ariete per dare vita ad un pamphlet politico che raccontasse gli Stati Uniti di George W. Bush. Sacrificando molti elementi fondamentali, invece completamente assenti.
Manca ad esempio l’indagine, perché Batman è anzitutto un detective. Manca l’atletismo, perché nelle scene di lotta gli scontri fisici sono sempre molto statici, compensati con trucchi di illusionismo. E manca, soprattutto, la coerenza.
Manca la coerenza nell’ambientazione, perché non si capisce come mai in Batman Begins Gotham sia una città quasi distopica, con monorotaie un po’ ovunque, mentre ne Il Cavaliere Oscuro divenga la trasposizione di una metropoli statunitense contemporanea.
Manca la coerenza dei valori, perché non è chiaro come mai un personaggio come Batman scelga in piega coscienza di non togliere la vita, salvo poi ipocritamente dire (all’avversario di turno, ma anche allo spettatore), “Non ti ucciderò, ma non sono obbligato a salvarti”, visto che se lasci andare qualcuno verso morte più o meno certa è come se lo stessi eliminando tu stesso.
Ma manca, e qui sta il paradosso, il realismo. “Ma come”, starà pensando il lettore, “ ma se ci hanno fatto una testa tanta con il realismo del Cavaliere Oscuro!”. Sì, ed è stata una geniale operazione di brand reputation da parte del regista, in cui in molti (compreso chi scrive, illo tempore) sono cascati.
Se si guarda meglio, però, risultano esserci diverse incongruenze, alcune forzature che la qualità comunque alta (per l’epoca in cui sono usciti) della produzione aveva fatto passare in sordina. La più eclatante riguarda proprio il personaggio principale, ed espressa adesso sembra persino banale: se è tutto così impregnato di realismo, com’è possibile che Batman utilizzi la tecnologia presente nel catalogo delle industrie Wayne con nonchalance? E che per tre film, al di fuori della cerchia a cui il protagonista sceglie di rivelare la sua doppia vita più o meno espressamente, ci sia un’unica persona in grado di fare 2+2, un peraltro personaggio insulso ben presto messo a tacere semplicemente facendogli “Buh!”?
Poi come detto la produzione nolaniana resta di altissimo profilo filosofico e sociologico, ben distante da certi blockbuster che quando iniziano già ti fanno venire voglia di arrivare immediatamente alla fine. Semplicemente, ecco, va preso atto che attribuire a Nolan il miglior Batman cinematografico significa bypassare la natura certamente più ricca del personaggio originale.