San Paolo (2000): un santo della Chiesa degli albori

“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. Le parole di San Paolo, nell’ultimo tratto del suo percorso terreno, sono una buona sintesi di quest’ultimo.

Una vita, quella di Paolo, talmente movimentata a ricca di avvenimenti da essere difficile da tradurre in una biografia. Figurarsi poi trarne un film.

Eppure, se è vero che la trasposizione cinematografica del 2000 è estremamente scarna, rispetto alla vita di San Paolo, essa prova tuttavia a coglierne lo spirito alla base. E non è poco.

La regia di Roger Young non è tanto una ricostruzione meticolosa, quanto piuttosto un percorso fatto di tappe salienti. Necessarie, presumibilmente, ad entrare in confidenza con il santo stesso.

Per fare ciò, tuttavia, era necessario creare le giuste premesse. Operare altrimenti avrebbe avuto infatti lo stesso effetto di edificare una casa senza le fondamenta.

La presentazione del complesso contesto politico-religioso dell’epoca va proprio in questa direzione. In particolare l’aspetto di fede assume, in tale quadro, un ruolo determinante.

Nel Regno di Israele dell’epoca, infatti, la questione religiosa era fondamentale, come collante per l’unità popolo. Un popolo intrinsecamente alquanto frazionato sotto questo aspetto, e per giunta sottoposto politicamente a Roma.

Zona bollente di per sé, lo sviluppo della sequela di Cristo porta ulteriore scompiglio nei già difficili equilibri. Nuove divisioni che sono problematiche da gestire, specie se dirompenti come fu la novità del Vangelo rispetto alle consuetudini dell’epoca.

Tale cornice storica era, come accennato, necessaria per una comprensione della figura di Paolo. Una figura in sé prismatica: ebreo e romano, prima persecutore dei cristiani e poi martire per Cristo.

San Paolo è, in questo senso, una miniserie tutta giocata sulla questione politico-sociale. E tuttavia si tratta solamente di un terreno, quello in cui germoglia (non senza grattacapi) il Vangelo.

Così, mentre il background di Saulo permette al pubblico di famigliarizzare con il protagonista, il suo accanimento contro i cristiani lo allontana. È un ideale movimento a fisarmonica, nel quale chi guarda coglie le motivazioni del fariseo ma ne disapprova i metodi.

La regia fa inoltre ricorso a numerose soggettive, tanto dei cristiani quanto degli antagonisti. Chiaro l’intento: rendere evidente la posta in gioco tanto dei secondi quanto, soprattutto, dei primi.

In Vangelo nasce dunque tra ostilità di tipo collettivo, a cui vanno aggiunte altre meramente personali. Che però non provengono solo all’esterno.

All’interno della comunità degli Apostoli ci sono infatti anche controversie di tipo teologico, ad esempio su quali prescrizioni seguire e su chi battezzare. Paolo, invece, una volta che ha conosciuto Cristo è il più fervido sostenitore del non porre limite all’accesso alla nascente Chiesa.

Alcuni contrasti toccano invece la figura stessa di Paolo, per il suo passato di persecutore. Ed è solo tramite la sua predicazione, data dalla sua fede, a rendere manifesta la sua nuova vita in Cristo.

San Paolo è dunque una miniserie mossa da un intento evocativo, più che agiografico. Non vuole insomma magnificare il santo in sé, ma mostrare la sua azione nel contesto della Chiesa degli albori. Un contesto che, dopo la chiamata sulla via di Damasco, ha visto Paolo indiscutibile protagonista.

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