Sono ormai sempre più rare, perché ormai inserite in un contesto di sfruttamento continuo delle produzioni di successo. Tuttavia esistono ancora opere d’ingegno che invecchiano bene perché le si lascia invecchiare, senza aggiungere sequel superflui o ridondanti che sminuiscono il valore della fonte originaria.
Il fumetto MM, Mickey Mouse Mistery Magazine, rientra sicuramente nella categoria. E dire che fu un secondogenito: dopo la svolta fantascientifica operata su Paperinik nel 1996, infatti, anche per Topolino era stata ipotizzata una veste innovativa.
Il personaggio simbolo della Disney era stato inserito in un contesto a tinte noir, con uno sfondo che si collocava tra il politico, il legal e il genere gangster. Ed era stata un vero colpo di genio.
Per la prima volta, infatti, il topo più famoso del mondo non era un comune cittadino saccente che supporta un corpo di polizia di inetti. Al contrario, la corrotta ma seducente città di Anderville aveva reso Topolino un detective privato imbranato ed autoironico, che con le autorità locali aveva un rapporto controverso.
Questa nuova versione era stata manna dal cielo, in quanto aveva proposto (per i lettori più consapevoli, almeno) in maniera più composita un personaggio di norma difficilmente tollerabile per la sua petulante perfezione. Il Topolino di Anderville era invece un Topolino che brillava per la sua imperfezione.
Chissà, forse è per questo (necessario) snaturamento che la serie non ebbe il successo di vendita che avrebbe meritato, chiudendo anzitempo. Allo stesso tempo, però, la fine anticipata è stata anche, come si diceva, una fortuna.
I fan di MM si sono infatti risparmiati le produzioni sequel che hanno caratterizzato, invece, la gemella PK. La quale, nel tentativo di sfruttare il filone fino in fondo, non è stata purtroppo risparmiata, divenendo oggetto di storie che in un primo momento non erano all’altezza delle precedenti e poi, dal 2014, sono diventate decisamente opache.
È cambiato il lettore di quel tipo in trent’anni? Sicuramente. Ma allo stesso tempo bisogna spiegare, allora, come mai le storie di oggi smuovano così poco, mentre quelle dell’epoca, pur con qualche ingenuità di fondo, restino ancora soddisfacenti da leggere.