Pensi al Portogallo e viene immediata l’associazione con Cristiano Ronaldo, un’icona mondiale. O magari, per qualche calciofilo nostrano, con Rafael Leao. O José Mourinho, per chi ne ha visto l’apogeo.
Ecco, ci vuole proprio uno sforzo per arrivare a Fernando Pessoa o Paulo Coelho. Figurarsi, se possiamo arrivare alle scolastiche rimembranze di Vasco de Gama.
Un peccato, perché il Portogallo invece a storicamente resta una perla rara. E questo nonostante a livello politico spesso venga ricordato per essere uno dei Paesi dell’orrendo acronimo PIIGS dei tempi della crisi economica, una pagina nera dell’Europa sociale, da qualcuno ancora legittimata.
Tempi che sembrano lontani. Due governi socialisti (Socrates e Costa) e due socialdemocratici (Coelho e Montenegro) in alternanza, a cercare un equilibrio tra rigore richiesto dai soliti noti, e misure anti-austerity che non strangolassero i cittadini portoghesi.
La maggioranza dei quali, invece, nel 2024 ha optato per un cambio casacca. Dentro Luis Montenegro, liberale conservatore che qualcuno però iscrive nella fantomatica ondata retriva che si sarebbe risvegliata nel Vecchio Continente.
Ovviamente però la storia è molto più complessa di così. La situazione del Portogallo è sempre strettamente legata con la sua posizione geografica. Una posizione che incide più ancora al rapporto con le ex-colonie.
Parte tutto dalla frontiera che delimita la terra lusitana. Un confine che vede un unico Stato letteralmente frapporsi tra il Portogallo e l’Europa, uno scomodo vicino con cui spesso ha avuto scaramucce: si tratta, ovviamente, della Spagna.
È vero che con quest’ultima nell’ottobre 2024 sono stati siglati firmati degli accordi che riguardano telecomunicazioni, trasporti, al fine di promuovere la penisola iberica come El Dorado delle energie rinnovabili. Ma la Storia non si dimentica, specie l’annessione dei lusitani alla Spagna del 1580.
Seppur di breve durata (fino al 1640) essa ha comunque alimentato la ricerca del Portogallo di una dimensione extra-europea. Che è stata trovata, poi, nella dominazione coloniale.
È bene ricordare, in tal senso, che presidente portoghese ha recentemente disconosciuto tale passato, usando parole forti, simili a quelle che si possono ascoltare negli USA. Ma la realpolitik dice altro.
Primo a conquistarsi colonie transoceaniche e ultimo a perderle, il Portogallo ha mantenuto con esse un rapporto assai stretto. Da cui trae benefici, rendendone però altrettanti.
Prendiamo il peso politico economico del Brasile e aggiungiamo la posizione strategica di Capo Verde, le risorse petrolifere dell’Angola e quelle minerarie del Mozambico. Ecco un quadro della CPLP (Comunità dei Paesi di Lingua Portoghese), un solido triangolo economico tricontinentale.
Di questi e dei molti altri asset cruciali della CPLP, il Portogallo si pone in Europa in qualità di interlocutore principe. Ed è grazie a questa posizione, favorita dall’interconnessione marittima, che esso può ritagliarsi uno spazio attorno al tavolo geopolitico che conta.
La comunità lusofona è, in buona sostanza, il frutto dello sguardo marittimo di Lisbona. Uno sguardo che quest’ultima rivolge al mare quando non riesce a comunicare con l’entroterra europeo, del cui nocciolo duro vorrebbe però essere parte.
Torna a fuori a volte, in UE, una visione discriminatoria dei paesi cosiddetti “frugali”. Per preconcetto, essi infatti concepiscono le genti mediterranee, e i portoghesi non sono da escludere, come pigre e refrattarie al lavoro.
Un’idea di fondo che mina ogni possibilità di dialogo. Ma è indubbio, però, che il Vecchio Continente non possa prescindere dal patrimonio culturale e geopolitico rappresentato dal Portogallo.
Il quale magari, con un’opera di informazione capillare e dettagliata, non sarebbe più ricordato solo per i suoi personaggi calcistici. La sua storia e il suo ruolo di aggregatore di potenze emergenti dicono chiaramente che merita maggiore considerazione.