Quo vadis: il Leone paziente e la geopolitica del Vangelo

La priorità è il rapporto con la Cina, con il problema delle nomine dei vescovi. No, è la pace, con i molteplici fronti di guerra aperti.

Leone deve concentrarsi sull’Africa, che è nel pieno di una primavera di vocazioni. No, sulla rievangelizzazione dell’Europa, che resta il fulcro della cristianità.

Il suo rapporto con gli Stati Uniti sarà ottimo perché è statunitense. No, sarà pessimo perché non condivide molti punti cruciali dell’agenda MAGA.

Francesco è un papa che ha staccato la Chiesa dall’Occidente perché non ne vedeva il futuro. No, anzi, era preoccupato per l’inverno demografico in atto.

Tra il tramonto del pontificato albiceleste e il levarsi di quello chicago-peruviano, è stato un florilegio di opinioni sul futuro operato di Leone XIV. In molti si sono sentiti in dovere di azzardare previsioni, che come osservato nell’incipit possono rivelarsi anche in contrasto tra loro.

Sicuramente, però, papa Prevost è un cubo di Rubik che affascina. Ha origini europee, natali yankee ma importanti trascorsi in Perù, con due intermezzi a Roma.

Ad un uomo di rottura come Francesco ne segue uno di cucitura come appare Leone. Più incline al lavoro in silenzio, meno alle intemerate che piacciono ai media.

Forse per questo qualche Vermilinguo di turno ha già iniziato a dire che è un papa timido verso i potenti, specie su Gaza. “Quanto manca papa Francesco”, si aggiunge con sospiro teso a dividere.

Ma Francesco era uno da “Quello che ascoltate sottovoce, gridatelo dalle terrazze” (Mt 10,27b). Leone è più da “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro” (Mt 6,1).

Due modi diversi, non inconciliabili, ma complementari. Che uno provochi applauso e l’altro sdegno è sintomo della sclerotizzazione di questi tempi malati di highlights.

Ma quindi, alla fine, che papa sarà Leone? Su cosa si concentrerà, nella miriade di tavoli su cui la Chiesa, quale attore globale, è chiamata a giocare?

La risposta, a leggere tra le righe, è già contenuta nella trattazione precedente. Ma andiamo con ordine.

Leone, come accennato, finora si sta muovendo in maniera cauta. Guardingo come sanno essere i felini di cui porta il nome.

Richiama l’attenzione su questioni di rilievo, come appunto la Palestina o l’Ucraina. Lo fa con costanza, ma senza clamori eccessivi.

Per tale motivo non di rado non finisce sui media generalisti. Che è la ragione per la quale si è creato il già menzionato mito del papa prono agli interessi dei potentati internazionali.

Leone agisce con pazienza, ma senza perdere un colpo. Con in testa, come dichiarato da lui stesso, un solo obiettivo: “Diffondere il Vangelo, non risolvere i problemi del mondo”.

Apriti cielo, migliaia di materialisti in queste parole si sono stracciati le vesti o hanno goduto, intendendovi leggere la pavidità della Chiesa, che si rifugia nelle lettere e abbandona la realtà concreta. Ecco, no.

Perché diffondere il Vangelo è proprio la dinamica più appropriata per avviare il processo che porti alla risoluzione di tante crisi. Si parte dalla testa per arrivare alle mani, e non il contrario.

Ebbene, in questo senso tutti i dossier menzionati nel prologo di quest’analisi hanno in comune quest’unico snodo cruciale: il Vangelo. E alla luce di quest’ultimo saranno trattati.

Quella di papa Leone, dunque, sarà un’azione geopolitica tesa ad agire concretamente ma lontano dalle luci della ribalta. Lo scopo è avere il tempo di costruire radici che diano buon frutto a lungo.

Per questo sarà importante pazientare, prima di giudicare se le dinamiche in atto stanno dando risultati. Una dote, la pazienza, che il mondo occidentale deve riscoprire.

Veritatis Media
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