Un pontificato lungo dodici anni, cominciato con un “Fratelli e sorelle, buonasera”. E concluso in un placido Lunedì Santo, con un congedo silenzioso e sobrio.
In mezzo, una storia che da raccontare appare intricata tanto quanto il protagonista. Una storia in cui i confini sono indefiniti, a volte contraddittori, altre volte ambigui.
Papa Francesco piaceva alla gente che piace, indubbiamente. Allo stesso tempo, però, il suo parlare semplice e diretto sapeva toccare il cuore di molti fedeli.
Non sono state tutte rose e fiori, naturalmente. Anzi, qualcuno ha puntualmente ironizzato, non a torto, che la famigerata “Chiesa in uscita” è stata tale perché allontanava quei cattolici che volevano un parlare che fosse “Sì, sì, no, no”, come prescritto dal Vangelo.
Papa Bergoglio invece è stato decisamente più enigmatico. Centrifugo nelle relazioni con il mondo politico-sociale e centripeto nel governo vaticano.
L’impressione, come disse in un’intervista da Fabio Fazio, è che lui, non si sentisse un santo come riteneva i suoi predecessori. Da qui, probabilmente, il rifiuto di molte tradizioni della figura del Pontefice, rifiuto che però ha finito per disorientare chi al papa guarda per essere confermato nella Fede.
Eppure, proprio per la gestione tanto autocratica delle cose di casa, Francesco è stato un papa neo-tradizionalista. Una delle diverse contraddizioni che lo ha accompagnato, ed una delle più inesplicabili.
Bisogna però riconoscere al suo lavoro due aspetti il cui frutto andrà valutato nel tempo. Il primo è sicuramente la strategia geopolitica.
Bergoglio ha infatti capito sin dall’inizio che il Dragone cinese è l’ago della bilancia dell’equilibrio mondiale. Come sapiente guidatore di scacchi, o di Risiko, ha perciò messo attorno al proprio avversario una serie di cardinali atti a ricordare all’Impero Celeste che l’egemonia globale passa dal confronto con il Regno Celeste.
Non va altresì trascurata nemmeno l’enfasi posta da Francesco sugli scartati. Se Giovanni Paolo II era il papa della battaglia per la dignità dell’uomo, e Benedetto XVI era quello della ragionevolezza della fede, Francesco ha avuto il merito di aver rimesso al centro del discorso gli stanchi e oppressi a cui Cristo ha promesso ristoro.
Certo, nessuno dei predecessori aveva mai abbandonato il tema degli ultimi. Tuttavia il pontificato albiceleste ha fatto dell’interesse per i poveri la propria ermeneutica.
Resterà questo, quindi, del papato appena concluso? Sicuramente sì, anche se il “per quanto” è tutto da valutare.
È infatti verosimile che nel popolo di Dio sopraggiunga progressivamente una sorta di obsolescenza. I tempi attuali di incertezza morale e sentimentalismo all’eccesso necessitano infatti di risposte con parole chiare, in linea con il magistero di Cristo e della sua immortale Sposa.
Tuttavia, l’approccio popolare di Francesco resta un lascito da non sprecare. Va semplicemente innervato in maniera copiosa con un Vangelo che è segno di contraddizione rispetto al mondo.