Anno domini 2005, la sera di venerdì primo aprile. A Subiaco, al monastero di Santa Scolastica, l’allora cardinale Joseph Ratzinger è insignito del premio “San Benedetto”: premettendo ciò che tutti ormai hanno capito da qualche settimana, ovvero che il Sua Santità Giovanni Paolo II si sta preparando a rendere le spoglie mortali, inizia poi a leggere il testo della conferenza, dal titolo “L’Europa nella crisi della culture”.
Papa Wojtyła si spegne effettivamente la sera successiva e, a diciassette giorni di distanza, sarà proprio il suo più stretto collaboratore a doversi obtorto collo far carico del peso della Chiesa Universale. Assumerà, per svolgere il compito, proprio il nome di Benedetto, richiamandosi al patrono d’Europa.
Un ideale passaggio di testimone tra due pensatori mitteleuropei che hanno portato un contributo fondamentale alla riflessione sull’identità e la missione del nostro continente. E proprio i temi dell’identità e della missione rientrano nel sottotitolo della terza raccolta di scritti di Joseph Ratzinger.
Dopo il volume del 2018 riguardante il rapporto tra fede e politica, l’editore senese ha composto un testo organico che raccoglie i punti salienti del pensiero del teologo bavarese proprio in merito all’Europa. Ed emerge, da queste pagine, una riflessione ricca e profonda.
A spiccare è soprattutto l’ultima parte, quella cioè incastonata nel periodo storico che va dalla caduta del Muro di Berlino in poi. Ratzinger, sia come prelato che come pontefice, offre infatti una visione acutissima e inequivocabile su quale fosse la condizione dell’Europa dopo lo sgretolamento del socialismo reale.
Il pensatore bavarese delinea, nello specifico, un continente concentrato più sugli aspetti economici che valoriali, e che anzi ora che ha raggiunto possibilità scientifiche prima sconosciute non si interroga adeguatamente su quanto alcune pratiche possano essere giuste o meno. Il relativismo diventa un dogma che crede di aver raggiunto lo stadio ultimo della maturazione intellettuale, considerando il resto uno stadio dell’evoluzione ormai superato.
Benedetto XVI nei suoi scritti vede un’Europa cinica e illusa della propria autosufficienza. Come ulteriore passaggio, fa inoltre risalire tale convinzione alla radicalizzazione di cui ha sofferto l’Illuminismo, in cui l’avvento del nuovo coincideva con la cancellazione in blocco del passato.
Un atteggiamento mentale sbagliato, per lui che ha sempre ripetuto che i primi vagiti dell’Europa come la conosciamo oggi avessero preso origine da tre grandi pilastri oggi relegati ai margini, quali la filosofia greca, il diritto romano e la fede cristiana. Ma oltre ad avanzare critiche, il pensatore bavarese offre altresì un percorso alternativo.
Per far sì che le istituzioni europee non solo perdano definitivamente sé stesse, ma anzi, ritrovino la bussola che le ha guidate attraverso i secoli, Ratzinger propone anzitutto di riscoprire i suoi principi etici, cosicché essi possano dare vita a nuovo modello sociale più giusto e più rispettoso dell’essere umano. Solo dopo che la Ragione abbia riscoperto la propria identità storica e morale chiara potrà, infatti, mettersi a confronto con le altre culture.
È dunque un Benedetto professorale, interculturale e interdisciplinare quello che emerge da “La vera Europa”, un Benedetto che propone e spera. Questo e molto altro si trova in questo volume, che si rivela preziosissimo, soprattutto per contrastare quel solipsismo che ha finito per ritorcersi contro tutti gli abitanti della casa comune europea.