Che Umberto Eco abbia sempre avuto un approccio snobistico verso ciò che aveva natura popolare lo dimostra, più che la lettura di Apocalittici e integrati, la diatriba dei primi anni Sessanta con il giornalista sportivo Gianni Brera, “reo” di dover scrivere cronache a ritmi forsennati per tenere i ritmi della notiziabilità. A poco servono frasi finto-paradossali come quella su Engels e Corto Maltese, perché appare chiaro che l’accademico piemontese guardasse all’intrattenimento di massa come si guarda un pesce in una boccia.
Il trattamento peggiore, tuttavia, Eco lo ha storicamente riservato nel medesimo periodo storico a Mike Bongiorno, icona della nascente televisione. Nel saggio Fenomenologia di Mike Bongiorno, del presentatore italo-americano il luminare scrisse, tra le altre cose, “non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente”, “non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi”, “entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all’apatia e alla pigrizia mentale” e “convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità ”.
Ora, teniamo da parte la sicumera nell’appioppare etichette che entrano nel personale, dinamica già di per sé di cattivo gusto. Se Mike Bongiorno lo si vuole capire, e non unicamente giudicare, occorre in realtà partire dal contesto.
Quale contesto? Quello di un’Italia ancora non abbiente in cui l’abbandono degli studi era ancora molto frequente, prediligendo, una volta espletato l’obbligo scolastico, un impiego dei propri giovani in quelle attività la necessarie al sostentamento della famiglia.
Il futuro presentatore in realtà gli studi li aveva portati avanti fino a quando non era diventato partigiano, ed aveva comunque iniziato a fare il giornalista per La Stampa. E forse proprio per questa sua ultima esperienza gli aveva reso chiaro che, per farsi capire dal pubblico, era necessario parlare una lingua comprensibile e rivolgervisi amichevolmente, che in fondo era composto da esseri umani come lui, e non da plebei che, se non avevano pane, avrebbero dovuto mangiare brioche.
Mike Bongiorno è stato popolare perché lui sapeva quello di cui il popolo aveva bisogno, la comunicazione che era necessario attuare per fare una divulgazione intelligente senza allo stesso tempo sminuire lo spettatore che si trovava dall’altra parte dello schermo. La sua spontaneità non era quindi ignoranza, ma lucida lettura della situazione, e felice intuizione della propria missione di servizio pubblico, dove “servizio” è la parola chiave.
La vera forza di Mike Bongiorno è stata, a conti fatti, la saggezza del fare entrare delicatamente dalla porta sul retro, la cordialità della relazione amichevole che era in grado di costruire con chi lo seguiva da casa. In una parola, l’umiltà, quella che lo ha fatto amare fino all’ultimo.