La geopolitica pop di Dario Fabbri

Lo abbiamo visto con Alessandro Barbero: la sete di storia può essere soddisfatta in modo pop, senza per questo perdere in serietà. E un discorso simile può essere applicato alla geopolitica di Dario Fabbri.

Il direttore della rivista Domino, similmente al professore torinese, ha infatti sviluppato una narrazione vivace ed efficace, in grado di rendere la sua materia meno ostica per i non addetti ai lavori. Un pregio sicuramente, considerando anche che il suo è un pubblico mediamente più scafato rispetto a quello di Barbero.

Volendo entrare nello dettaglio, Fabbri ha un duplice grande merito. Da una parte è sempre attento ad evidenziare come le nostre categorie a priori, come le avrebbe definite, Kant, non siano universali, e che dunque non possiamo pretendere di appiccicarle agli altri.

Dall’altra, soprattutto, al centro del suo pensiero, correttamente, mette i popoli. Abituati infatti, come dice lui stesso, ad una storiografia fondata sui leader, spesso perdiamo di vista il fatto che sono le comunità a generare i leader, e mai il contrario.

Nel concreto, l’adesione ad un modus operandi avviene come risposta ad un bisogno che la popolazione esprime in uno specifico tempo. Lo stravolgimento del medesimo, parimenti, ha luogo quando l’azione di quel determinato potere è ormai sgradita.

Una visione dal basso, dunque, che chiaramente necessita di una specifica non esplicitata. Bisogna tenere a mente, infatti, che tale ragionamento vale per quei popoli che abbiano un certo grado di autodeterminazione, e che non rientrino in toto nella sfera d’influenza della superpotenza di turno.

A ciò andrebbero altresì aggiunti, per completezza, tutti quei gruppi di potere privati che a loro volta sono in grado di esercitare una forma di persuasione o coercizione sui governi meno strutturati. Una materia, questa, che però compete più l’economia politica che la geopolitica in senso stretto, e che dunque ci porterebbe lontano.

Tutti questi ragionamenti sarebbero tuttavia meno immediati senza uno sguardo più lucido a trasversale rispetto a quello eurocentrico. E proprio in tal senso il passaggio di una figura come Fabbri risulta fondamentale.

Ma questo non è tutto. Decorando la sua eloquenza con riferimenti alla cultura pop e battute al fulmicotone, il direttore di Domino infatti è in grado di tenere desta l’attenzione dell’uditorio, che così corre meno il rischio di perdersi input cruciali, e può quindi rielaborarli.

Alla stregua di Socrate (absit iniuria verbis), dunque, Fabbri è in grado di risvegliare il daimon dentro chi lo ascolta. Invitati a fare un passo di lato per abbandonare il nostro punto di vista, abbiamo quindi la possibilità di valutare con maggiore chiarezza gli eventi che quotidianamente ci vengono proposti dalla cronaca internazionale.

Prendendo coscienza che altrove ci sono popoli che non sono oggetti di analisi ma soggetti con una loro cultura, diventa quindi più agevole comprendere determinati comportamenti che, per la nostra forma mentis, non tornano. E proprio per questo, anche non essendo in totale accordo con le sue tesi, Dario Fabbri rappresenta una risorsa di grande valore.

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