Il Pinguino che voleva diventare grande

Certe storie non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Sì, il soggetto originale non erano le storie, ma questa ormai proverbiale espressione, forse fin troppo abusata in certi casi, serve tuttavia a rendere l’idea di come si sviluppano sceneggiature come quella di The Penguin.

Si era scritto, all’alba della serie ambientata nell’universo di The Batman, che dava l’impressione di essere come una declinazione in salsa gangster di House of Cards. Questa almeno, era stata l’impressione della prima puntata, confermata poi nelle due successive.

Dalla quarta in poi, tuttavia, c’era stato un cambio di paradigma. L’ascesa spietata di Sofia Falcone, il sistema di alleanze e ritorsioni tra gruppi criminali e lo svelamento del background di Oswald Cobb avevano infatti generato il pensiero che l’idea iniziale fosse prematura, e che effettivamente avesse ragione chi vedesse in The Penguin una prosecuzione della poetica gangster avviata da I Soprano.

Esattamente come gli amori cantati da Antonello Venditti, tuttavia, questa deviazione dal tracciato è stata solo una panoramica per tornare al punto iniziale. Dall’episodio conclusivo, infatti, tornano fuori gli elementi strutturali che sottostanno ad House of Cards.

E così non solo il protagonista, ma anche diversi personaggi secondari decidono di svoltare il proprio destino, e di non fungere più da luogotenenti dei potenti di turno, ma di prendersi prepotentemente la scena in prima persona. The Penguin conferma quindi la volontà di narrare una sorta di moto rivoluzionario a tutti i livelli in seno a Gotham.

E se guardiamo alla fonte primaria dell’universo diegetico in questione, una domanda sorge spontanea: la figura di Batman quanto pesa in questo moto? La risposta, forse, l’avremo in The Batman 2.