Premessa: il lettore che sia rimasto colpito del titolo non deve in realtà sorprendersi. Questo piccolo spazio di critica dei media non ha affatto abbandonato il suo stile tagliente ma sobrio.
La scelta di tale intestazione era un chiaro richiamo ad una famosa presa di posizione di René Ferretti, protagonista della serie tv Boris, nei confronti della tv di qualità, di approccio intellettuale in odore di snobismo. Una collera che facciamo nostra, ancorché diversamente indirizzata.
Di recente, infatti, è stato tutto un susseguirsi di notizie, smentite, conferme, mezze verità e indizi criptici relativi all’universo cinematografico che James Gunn sta sviluppando con i personaggi della DC Comics. L’istinto era in realtà quello di scrivere “per la DC Comics”, ma, come dimostrato dai rivali della Marvel, la composizione di una realtà filmica non fa alcun servizio al comparto fumetti. Anzi.
Ad ogni modo, un approccio tanto voyeuristico rispetto a quanto accade in casa della Distinta Concorrenza, a parte dimostrare la trasversale crisi del giornalismo, offre uno spunto per una riflessione sulle Big Two. Per la precisione su questa mania ormai nauseante del cinefumetto (termine che chi scrive detesta, ma insomma, è per capirci) condiviso.
Torna in mente, in questo senso, una parte del discorso finale di Tony Stark in Iron Man 3: “Si comincia con qualcosa di puro, qualcosa di eccitante. Poi arrivano gli errori, i compromessi”. Un’affermazione che è posta nel primo lungometraggio della Fase 2, quella che segue la tanto sospirata unione dei supereroi di Avengers, ma che finisce per delineare la parabola del Marvel Cinematic Universe da lì in poi.
Perché anche l’esperimento MCU era effettivamente nato come qualcosa di elettrizzante, di nuovo, che andava a stuzzicare i sogni di bambini e nerd (o bambini futuri nerd) su personaggi straordinari che fanno squadra, eroi eccezionali che interagiscono creando un intero ben superiore alla somma delle parti. Anche chi scrive, d’altronde, non ha problemi ad ammettere di essere rimasto affascinato da tale idea, tanto da riversarla in un libro.
Il problema, come diceva Tony Stark, è il dopo. Un dopo fatto di un’espansione eccessiva per creare economie di scala che permettessero di lucrare sui personaggi e sul conseguente entusiasmo. Il lancio di Disney+ ha ulteriormente esacerbato questo bisogno, ed il risultato è sotto gli occhi di tutti (quelli che vogliano vedere): storie tirate per i capelli, superpoteri che vanno e vengono, errori di continuity.
Sedotta da tale ipotesi di lucro, nel 2012 all’inseguimento della Marvel si sono lanciati i rivali di sempre. Un primo tentativo tuttavia non è andato a buon fine, complice soprattutto l’approccio particolare di Zack Snyder, regista che flirta sempre con la videoarte ma risultando spesso indigesto in termini di qualità della narrazione.
Ora la DC ci riprova affidandosi a James Gunn. Il contesto però è notevolmente mutato, rispetto al 2008: il rischio di incorrere negli stessi errori della Casa delle Idee è infatti dilatato dal logorio generato da quest’ultima attraverso il progressivo distendersi di un agglomerato diegetico che si autofagocita.
In questi giorni è uscito il trailer della miniserie tv The Penguin, che approfondisce l’eponimo personaggio già visto in The Batman di Matt Reeves, che risulta produttore esecutivo. Allo stesso tempo, è stato annunciato che ad inizio luglio tornerà in sala la trilogia di San Raimi dedicata a Spider-Man.
Ecco, dopo l’abbuffata di cinefumetto condiviso non sarebbe male rivedere un approccio legato agli autori, e ad un focus dettagliato su un personaggio ed il suo mondo senza interferenze esterne. Unità di tempo, luogo e azione: non era forse questa la ricetta del grande sceneggiatore hollywoodiano Aristotele?