I Digimon avevano previsto il mondo di oggi

Dal Digimon Con giunge una speranza. Sagome avvolte nel buio, una metropoli digitale dai colori in stile Blade Runner, il titolo “Digimon Beatbreak” e l’appuntamento rimandato a ottobre 2025.

Una prospettiva sicuramente accattivante per i fan, ma allo stesso tempo uno stimolo per riflettere sull’importanza del franchise in questione. Considerato secondario rispetto ad altri, almeno come impatto economico, ma allo stesso tempo profetico da un punto di vista ermeneutico.

Sì, perché se è vero che, guardando i freddi numeri, i Digimon hanno perso la battaglia contro i rivali di sempre Pokemon, è tuttavia altrettanto evidente che abbiano però vinto la guerra epistemologica. E non è poco, in termini di cultura pop.

All’inizio del nuovo millennio queste cose non le potevamo concepire. Ciò che contava allora era, banalmente, scegliere se eri schierato per gli uni o per gli altri, con le naturali rivalità che ne conseguivano.

Quanto avessero visto lungo i Digimon, è stato lampante quando sono emersi due sviluppi interconnessi tecnologici tra loro. L’esplosione dei dispositivi per un accesso ad internet più veloce e meno costoso, ed allo stesso tempo l’avvento dei social network sono stati infatti, per certi versi, la concretizzazione di quanto preconizzato da “Digimon: Adventure”.

La separazione tra identità reale e identità digitale, l’esplorazione di nuovi mondi attraverso la rete e, soprattutto, la battaglia contro quanto si ritiene malvagio combattuta attraverso internet sono ormai snodi cruciali della vita quotidiana di tanti. E i Digimon poco meno di una trentina d’anni fa avevano previsto una realtà basata su tali presupposti.

Ecco quindi spiegato il perché, se anche i Pokémon possono fregiarsi del titolo di franchise più remunerativo al mondo, sono i Digimon a risultare un oggetto culturale più interessante. Si tratta di produzioni per bambini, certamente, ma allo stesso tempo possono essere interessanti per qualsiasi studioso di cultura pop.

Anzi, capire quello che nei primi anni Duemila veniva trasmesso (in più sensi) per i bambini e ragazzi di allora può aiutare a comprendere non solo ciò che si pensava sarebbe stato il futuro, ma anche quali erano i valori che si volevano divulgare a coloro che poi sarebbero stati gli adulti prossimo venturi. Anche se c’è una differenza sostanziale, e dolorosa.

I Digimon infatti insegnavano anzitutto a fare squadra. E questo nonostante tensioni, momenti di crisi, divergenze di vedute, incompatibilità di caratteri tra i vari componenti del gruppo.

Oggi tale concetto sembra invece consunto, specie quando i media generalisti caldeggiano il rifugiarsi nel solipsismo come metodo per ottenere la felicità, anche se poi ci si ritrova, ma guarda un po’, soli ed incompleti. Forse la lezione dei Digimon sul team building non è stata capita fino in fondo dai destinatari, o forse erano stati semplicemente troppo ottimisti i creatori.

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