C’erano una volta, in un grande palazzo nella felice isola di Manhattan, due bambini, un maschio e una femmina. Il più grande, Franklin, aveva poteri sconfinati capaci di alterare la realtà stessa.
La secondogenita, Valeria, non aveva invece particolari abilità innate, ma disponeva di un’intelligenza di livello superiore a quella del padre. I due bambini vivevano con i genitori e due zii.
I due genitori si erano conosciuti quando erano giovani. Spesso nella loro relazione avevano avuto traversie, ma il loro amore era conosciuto come uno dei più duraturi del mondo (o meglio, di quel mondo).
Per quanto concerne gli zii, uno era autentico, il fratello della madre. Il secondo zio, invece, era acquisito, in quanto amico fraterno del padre.
C’era poi un terzo zio, padrino di Valeria, che viveva in un lontano regno dell’Est, in un altro continente. Questo zio però era meno presente, a causa dei cattivi rapporti che aveva con il padre dei due fratellini.
Ecco, a pensarla così, quella dei Fantastici Quattro sembra veramente una favola, una favola che racconta anzitutto di una famiglia. E Dio solo sa se quanto ci sia bisogno, nella crisi sociale dell’Occidente, di rimettere al centro la famiglia.
Ci dicono alcuni eminenti esponenti che la “famiglia tradizionale” non sia è mai esistita. Il che per certi versi è vero, nel senso che si tratta di un modello concettuale che poi ha sempre dovuto fare i conti con la concretezza dei contesti personali.
Cionondimeno, esso rimane comunque un riferimento per il genere umano. Pur nella diversa declinazione culturale e temporale, l’istituzione famigliare è saldamente inscritta nel cuore di ogni individuo, ed inestirpabile da esso.
In questo senso, le ultime dichiarazioni di Vanessa Kirby fanno tremar le vene e i polsi. Anche se non sono certo una sorpresa, conoscendo lo zeitgeist della Hollywood attuale.
L’attrice, chiamata ad interpretare Sue Storm, in merito al suo personaggio ha infatti affermato: “Se interpreti una esatta Sue degli anni Sessanta oggi tutti penserebbero che sei uno zerbino. Ho cercato di incarnare quello che lei rappresenta per ogni generazione, dove le politiche di genere erano differenti”.
Come se non bastasse, l’attrice ha aggiunto di essere “interessata al caos della femminilità” e di “lato oscuro che viene fuori“. La conclusione è la ciliegina sulla torta: “Non volevo che fosse solo lo stereotipo della madre buona e dolce“.
Parole che suggeriscono due riflessioni. La prima è il fatto che a non essere credibile, almeno alle latitudini europee, era la Sue Storm degli inizi, schiacciata com’era su Reed Richards.
Certo, erano albi a fumetti, e pur apprezzandone lo stile è fisiologico, per questioni di mero spazio, che non si potesse costruire un personaggio sfaccettato da romanzo come Emma Bovary o Anna Karenina. Anzi, dei due appare velleitario tale tentativo nelle produzioni contemporanee.
Ciò che non lascia presagire nulla di buono, tuttavia, è soprattutto il ricorso all’espressione “politiche di genere”. Tale formula, infatti, di solito è accompagnata da concetti quali mascolinità tossica, empowering, patriarcato et similia.
È dunque verosimile che vedremo tale propaganda anche nel prossimo lungometraggio sui Fantastici Quattro? Non è dato sapere, ma nel caso succedesse si potrà dire che qualcuno, con il senno di prima, lo aveva messo in preventivo.