L’interesse per la pallacanestro è forse la migliore rappresentazione del binomio culturale che vive il nostro Paese. Se da una parte si affrontano le vicende di casa nostra con una passione cinica mista ad un senso di nostalgia per l’epoca d’oro, dall’altra si guarda invece acriticamente agli USA come ad un perenne Bengodi.
Come si è accennato, tale sentimento da “Ah, caro mio, se anche noi sapessimo fare le cose come le fanno loro” è decisamente diffuso anche nell’ambito culturale (cinema in primis, ma non solo). Il paradosso è che questo succede a prescindere, anche nei momenti storici in cui la fama di Paese dei Balocchi risulta decisamente usurpata.
Va da sé che qualsiasi elemento esca da questo Giano bifronte debba avere la forza di brillare per qualità e precisione. E Jugobasket, in tal senso, è perfetto.
Decidendo di ricostruire la storia della pallacanestro della ex Jugoslavia attraverso le voci di alcuni tra i molti protagonisti di quest’ultima, infatti, l’autore Alessandro Toso ha avvicinato il lettore ad un mondo che era molto vicino geograficamente, ma allo stesso tempo lontano sentimentalmente.
Il nostro basket viveva il dirimpettaio della ex-Jugoslavia solo come un rivale dal quale esportare i talenti migliori, fossero essi in campo o in panchina. Quando si trattava invece di cercare modelli, però, beh, lì si guardava ai già menzionati Stati Uniti.
Solo di recente tale tendenza è cambiata. Da questo punto di vista, lavori come quello di Toso o di Sergio Tavcar L’uomo che raccontava il basket sono snodi cruciali per fare luce su un movimento della ex Jugoslavia che ora ha perso un po’ del suo smalto (e anche di questo tangenzialmente si parla, nel libro), ma allo stesso tempo continua a generare autentiche perle e, non di rado, anche risultati.
In Jugobasket in particolare è interessante vedere l’alternarsi di prospettive diverse tra loro. Accanto a chi è stato protagonista in Italia, come Boscia Tanjevic o Toni Kukoc, Sasha Danilovic o Dino Radja, presenziano infatti voci sui generis come quelle di Duci Simonovic o Mirza Delibasic, o figure dal carattere più internazionale come Vlade Divac o Zeljko Obradovic.
Ne esce un mix interessante, coinvolgente, che apre una finestra su un mondo spesso rievocato per stereotipi, i quali spesso vengono anzi decostruiti dal racconto dei protagonisti stessi. Un lavoro giornalistico, etnografico e culturale di alto profilo, dunque, soprattutto per offrire un po’ di alternativa ai due modelli egemoni in cui è immerso il fruitore italiano.