Lo hanno chiamato I due papi, ma in realtà il pontefice raccontato è uno solo, Francesco. I flashback sugli anni giovanili, sull’attività pastorale, sulle difficoltà nel periodo storico della Guerra Fredda e poi nel mondo globalizzato sono unicamente appannaggio del prelato argentino.
Nulla di tutto ciò è stato riservato per Benedetto XVI, se non un accenno en passant durante un primo confronto con il cardinale Bergoglio. Per il resto niente, quasi ad ulteriore conferma della visione che vuole Benedetto XVI senza alcuna evoluzione, marmoreo ed inamovibile in Vaticano.
D’altronde la sceneggiatura di Anthony McCarten concede profondità solo al porporato sudamericano. A Ratzinger, invece, tocca una dozzinale rappresentazione basata da una parte sui più classici luoghi comuni che riguardano i tedeschi, ulteriormente appesantita dalla vulgata che lo vuole uomo ombroso ed intransigente.
Tale raffigurazione è coerente con una certa generale sufficienza dei media generalisti nel trattare la figura di Benedetto XVI. E non è un caso che si tratti di uno dei soli tre pontefici dell’epoca contemporanea (ovvero dopo la perdita dei poteri temporali) a non aver avuto un biopic dedicato.
Certo, la Chiesa ha la missione di predicare il Vangelo, e le telecamere sono un di più. Eppure risulta sintomatico che l’industria creativa maggiormente in grado di alimentare l’immaginario collettivo abbia deciso di trascurare un personaggio come Ratzinger.
Ma oltre a lui, sono, come accennato, solo altri due gli “ignorati”. Si tratta nello specifico di Leone XIII, primo papa eletto dopo l’Unità d’Italia, e Benedetto XV, pontefice nel periodo della Prima Guerra Mondiale, contestato per la sua definizione del conflitto come di “inutile strage”.
Gli altri vicari di Cristo in Terra sono stati, invece, tutti portati su grande e piccolo schermo, chi più, chi meno. E se è vero che, almeno a livello mediatico, papa Pecci e papa Della Chiesa sono due figure che rimangono sullo sfondo, non si capisce il silenzio su Benedetto XVI, anche solo per l’impatto storico delle sue dimissioni.
Che il motivo sia la reputazione di Panzerkardinal reazionario che, da prefetto come da papa, non mostrava pietà per chiunque gli si opponesse? Difficile, considerando che la sua immagine di uomo mansueto, timido ed affabile ha contribuito a diluire l’etichetta immeritata di truce inquisitore.
Essa permane naturalmente in una certa opinione corrente, incancrenita e sorda. Ed è proprio a questa audience, in effetti, che punta Netflix, rassicurando il suo utente medio, che già di suo nutre pregiudizi, sulla correttezza dei luoghi comuni in cui crede.
Ma a parte quest’ottica parziale, perché mai il mondo dell’audiovisivo non vuole rappresentare Ratzinger? Forse la motivazione sta, in fondo, proprio in lui.
Un papa, come detto, in realtà mite, che parlava con un filo di voce, molto professorale nel suo approccio, ancorché capace di gesti d’affetto. Da qui pare emergere una spiegazione plausibile.
Perché un personaggio così non solo non è telegenico, ma in fondo, se si seguono le regole dell’audiovisivo attuale, viene a mancare pure l’appeal. Perché Ratzinger ha il carisma trascinante di Giovanni Paolo II, la scintilla verbale di Francesco, così come non è controverso come Pio XII o trasversalmente amato come Giovanni XXIII.
Aggiungiamo poi che ad un film su di lui forse mancherebbe anche l’azione, avendo passato la sua vita tra lezioni e questioni teologiche, immerso tra archivi e libri, et voilà, forse la ragione per la quale Benedetto XVI non ha ancora avuto un biopic a lui dedicato è che non è stato abbastanza scenografico. Da dovunque si trovi, siamo certi trovi tutto ciò abbastanza spassoso.