Giocare come Dio comanda: un Bearzot senza tempo

Era un figlioccio di Nereo Rocco anche lui. E non si tratta di una frase fatta, perché a dichiararlo fu Enzo Bearzot stesso, quasi a certificare una linea di continuità tra il mister triestino e l’allievo friulano.

Fu il Paròn, alla sua maniera schietta ed in vernacolo giuliano, a convincere l’uomo con la pipa a diventare allenatore. Occhio lungimirante, evidentemente Rocco aveva intuito la propensione del Vecio a stimolare la comunione d’intenti.

Differenti, certamente. Meno comunicativo Bearzot, ma non meno convinto che i successi di una squadra passassero dalla costruzione di un gruppo solido.

Forse per quello, esattamente come con Rocco, è molto difficile trovare qualcuno che parli male del Vecio. Adesso, per lo meno.

Sì perché, come è noto, prima della partenza per il Mondiale di Spagna ’82 e dopo le prime partite in terra iberica, il ct era l’obiettivo della stampa, che a sua volta aizzava i tifosi. Ed Enzo qualche volta ridava indietro, ma più spesso subiva, cristianamente, lui che era dichiaratamente cattolico.

Giocare come Dio comanda, libro di Gabriele Moccetti, è in questo senso una fedele ricostruzione di Bearzot attraverso i racconti di chi lo ha conosciuto. Per certi versi l’ideale completamento di Il Romanzo del Vecio di Gigi Garanzini.

Perché completamento? Perché Enzo, parlando di sé stesso, da buon friulano assume un tono sobrio e onesto. Non eccede in autoelogi, così come neanche si nasconde nella falsa modestia.

Tuttavia un libro come Giocare come Dio comanda era necessario per avere una prospettiva esterna e non interna. Ovvero il solo modo per misurare l’impatto di Bearzot sull’ambiente circostante.

Ecco dunque che risultano alquanto interessanti le testimonianze di Dino Zoff, Beppe Bergomi e il già menzionato Gigi Garanzini. Anche se il Vecio non era solo lavoro.

Altrettanto ricche di valore sono infatti i ricordi di lui nel privato. La figlia Cinzia, i nipoti Rodolfo, Livia e Giulia, l’amico Armando integrano il ct pubblico con l’Enzo domestico.

Ne esce fuori un uomo del suo tempo, severo e fermo sui principi ma giusto nei giudizi. Innamorato dei classici che rimpiangeva di non aver potuto studiare.

Un uomo dalle molteplici passioni extra-sportive, anche. E furono sicuramente queste che gli permisero un’uscita serena dal mondo del calcio dopo che quest’ultimo lo accompagnò alla porta.

Bearzot dunque come un diamante, prismatico e duro. Una figura mitologica, ma che forse è stata messa sul piedistallo perché lì non deva troppo fastidio.

Ma le guide come il Vecio hanno qualcosa da insegnare in qualsiasi tempo a chiunque voglia abbeverarsi alla loro fonte. Sarebbe quindi il caso di dare una spolveratina al monumento dell’uomo con la pipa, per vedere come può ancora trasmettere valori senza tempo.

Veritatis Media
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