Era il 31 dicembre del 2022, san Silvestro. Grossomodo alle dieci e mezzo di mattina, le pagine online dei quotidiani battevano la notizia a cui il mondo cattolico e una buona fetta di opinione pubblica si preparavano da tempo: Benedetto XVI aveva, infine, reso le spoglie mortali.
A seguito di tale annuncio, l’omaggio a quello che è stato un grande pensatore del Novecento si è rivelato trasversale, e largamente popolare. Un fatto che sorprende, soprattutto a fronte di una certa cattiva stampa che invece è stata sgradevole compagna del pontificato di Joseph Ratzinger sin dai suoi primi vagiti.
Questa acrimonia germogliò, a tavolino, negli ambienti liberal che avevano bisogno di “controbilanciare” la buona stampa su Giovanni Paolo II, ma non potevano attaccare direttamente il polacco. Essa si è poi trascinata fino ai giorni nostri, ben oltre la stessa morte del papa bavarese.
Poco male. Lo stesso Ratzinger, in fondo, sosteneva che il cristiano sia tenuto ad agire nel mondo ma non conformarvisi, ricercando ad esempio il successo, il plauso, presso l’opinione pubblica.
Un pensiero perfettamente coerente, in effetti, con un uomo che già negli anni Sessanta aveva preconizzato una Chiesa con meno seguito, meno privilegi, e basata su un’adesione volontaria. Una vittoria del secolarismo solo apparente, visto che ciò, secondo la visione del teologo, poi permetterà di riscoprire il cuore della Fede, di ritrovare slancio e di rappresentare un faro di speranza per tutte le genti.
Ecco, la coerenza. Se c’è qualcosa in cui Benedetto XVI non ha difettato è stata proprio la coerenza. Incurante di calunnie, insinuazioni e cattiverie varie, ha vissuto fino in fondo la sua testimonianza, il suo martirio bianco: termine non scelto a caso, quest’ultimo, visto che “martire” significa proprio “testimone”.
La missione a cui il pensatore bavarese si è sentito chiamato è sempre stata l’annuncio della Verità, un’altra parola-chiave necessaria per tracciarne un profilo. Una parola desueta, anacronistica, per qualcuno persino retriva, nel mare magnum di liquidità, relativismo e sentimentalismo in cui l’Occidente naviga (a vista) attualmente, e che lo stesso Benedetto aveva anzi individuato come origine della crisi esistenziale di chi è ricco nel portafoglio ma povero nell’animo.
La Verità dei Cooperatores veritatis, il motto episcopale scelto da Ratzinger quando Paolo VI lo “strappò” al suo amato insegnamento e lo pose a capo della diocesi di Monaco e Frisinga. La Verità come Caritas in veritate, l’enciclica che nel titolo ribalta un’espressione di San Paolo per ricordare come l’economia sia un’espressione umana, e che in quanto tale deve essere guidata da principi morali che si interessino del benessere di ciascun individuo.
In un’epoca in cui l’essere umano percepisce la Verità come troppo ingombrante e troppo invasiva per il proprio ego, Benedetto XVI ha avuto il grande merito di evidenziare come la Verità sia una luce razionale che pone la persona fuori dal solipsismo arbitrare e gli fa incontrare il valore intrinseco delle cose. Se l’Occidente così pieno di sé stesso ma vuoto di significato vuole trovare nuovo vigore, è da qui che deve ripartire.