Ready to Play: prospettive dal gioco di ruolo

Lo spostamento del festival del gioco di ruolo “Play” da Modena a Bologna, dice uno degli espositori, è stata straniante. Molto più grande e dispersiva la prima edizione felsinea, spiega, e non si fa fatica a credergli.

Però chissà, magari le maggiori dimensioni, pur con i problemi che ne sono derivati, hanno potuto ospitare non solo più clientela, ma forse anche più offerta. Ed è tale scenario che ci porta dritti al primo elemento veramente marcato del festival.

Sì, perché girando tra gli stand la prima cosa che colpiva era proprio una presenza consistente, variegata e molteplice di giochi di ruolo, fumetti, libri. E, per di più, generata per la maggior parte in ambito indipendente.

Non è un segreto, come più volte si è scritto anche qui, che la produzione mediale occidentale stia conoscendo una recessione. E questo in controtendenza con quella dell’Estremo Oriente, che continua invece a rimanere solida sia a livello creativo che economico.

Il ripetersi di certi logori stilemi e la scelta cosciente di propagandare determinati disvalori hanno sicuramente alienato alla produzione generalista statunitense il favore di una buona fetta del pubblico. Una sensazione di imposizione forzata di posizioni che, de facto, taglia fuori chi non le condivide.

In Europa, invece, gli addetti ai lavori non sfruttano a dovere il patrimonio storico e culturale del continente e, quel che è peggio, hanno completamente abdicato ad una qualsiasi critica sociale incisiva, dinamica e fuori dagli schemi. Un’imitazione pedissequa e cieca del modello a stelle e strisce, quando invece si potrebbero avanzare proposte culturali molto più interessanti.

Questo, almeno, è ciò che accade a livello generalista. Fiere come il Play, tuttavia, sono occasioni preziosissime che permettono di scoprire come, dietro alla crisi “macro”, ci sia un universo “micro” che invece è ricco, fervido, vivido e da cui zampillano energia e creatività.

In un festival così puoi incontrare produzioni indipendenti che narrano approfondiscono mitologie come quella norrena, quella greca, quella slava e quella asiatica. Ma oltre ai miti c’è altro.

Gli uni accanto agli altri si posizionano infatti ucronie e wargames, opere letterarie e steampunk, fantascienza e famiglie nobiliari, impero romano e mondo demoniaco, e via discorrendo. Il climax del pensiero originale sono, in questo senso, i giochi in cui si mischiano sport e racconto fantastico.

Ciò che davvero rincuora, però, è soprattutto la socialità che si respira. Vengono in mente certi maestri del pensiero dei social sono sempre impegnati a catechizzare in merito ad un futuro in cui rimarremo in casa, ognuno con il proprio device, a guardare produzioni mainstream e a ordinare cibo attraverso i servizi di delivery.

Immemori di Aristotele che definiva l’essere umano un animale sociale, costoro si dicono certi di un futuro digitalizzato ed isolazionista. Una visione che già di per sé risulta di primo acchito molto occidentalista, e quindi delimitata a chi può permettersi questo tipo di agi.

Come se non bastasse, fa a pugni con le tantissime persone che al Play erano impegnati a fare giochi ruolo, oppure chiedevano informazioni per poterli utilizzare autonomamente. Un’immagine che conferma come certi profeti del nuovo, prima di sputar sentenze, dovrebbero provare a camminare nel mondo reale.

Dal festival traiamo quindi due certezze: le persone vogliono dare vita alle proprie storie, e vogliono condividerle con gli altri. Visti i tempi in cui viviamo, sono prospettive alquanto incoraggianti.

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